Da domani addio ai vecchi modelli di registri e formulari di identificazione dei rifiuti e via alle registrazioni digitali obbligatorie per le prime imprese iscritte al sistema informatico RENTRi. Ma tra prese d’atto tardive, affanno delle software house e nodi mai risolti sul piano normativo, la nuova tracciabilità debutta nell’incertezza
Alla fine, il giorno della prima è arrivato. Da domani, 13 febbraio, va in scena la nuova tracciabilità dei rifiuti. Dopo 27 anni alla ribalta, i modelli dei registri di carico e scarico e dei formulari di identificazione introdotti a giugno del 1998 lasciano il palcoscenico ai nuovi format allegati al decreto del ministro dell’Ambiente 59 del 2023. Ovvero il regolamento del RENTRi, il registro elettronico nazionale di tracciabilità. Perché la giornata di domani segnerà anche, e soprattutto, l’avvio del nuovo tentativo di digitalizzazione degli adempimenti, dopo la fallimentare parabola del Sistri.
A debuttare per primi saranno i produttori di rifiuti con più di 50 dipendenti e gli operatori della gestione (trasportatori, intermediari, impianti), per i quali le iscrizioni al nuovo sistema si sono aperte già lo scorso 15 dicembre. Da domani, per tutti gli iscritti, scatterà l’obbligo di tenere i registri in modalità esclusivamente digitale e di inviare periodicamente al RENTRi (entro la fine del mese successivo alla registrazione) i dati delle movimentazioni. La digitalizzazione del formulario, invece, arriverà solo nel 2026.
Dopo l’apertura delle iscrizioni, l’avvio del registro digitale per il primo scaglione di operatori rappresenta fin qui l’atto più importante nel nuovo tentativo di digitalizzazione della tracciabilità dei rifiuti partito nel 2018 con l’abolizione del Sistri e la contestuale istituzione del RENTRi. Che, nelle intenzioni del Ministero dell’Ambiente, una volta giunto alla piena operatività dovrà da un lato aiutare le aziende a innovare processi e organizzazione, e dall’altro contribuire a far emergere condotte irregolari o veri e propri illeciti ambientali. Lo strumento dovrà inoltre fornire a enti territoriali, istituzioni nazionali e organi di controllo una serie di informazioni dettagliate, capillari e quasi in tempo reale sugli scarti prodotti e movimentati da nord a sud della Penisola, supportando così lo sviluppo di strategie di gestione sostenibili e circolari.
Un copione perfetto, al quale, però, saranno soprattutto le imprese a dover dare vita. E non tutte quelle obbligate a tracciare i rifiuti prodotti o gestiti hanno ripassato la propria parte. I soggetti non obbligati a iscriversi al RENTRi, ad esempio, continueranno a tenere i registri e formulari in modalità cartacea, ma dovranno farlo utilizzando i nuovi format e le nuove modalità di compilazione. Tuttavia, come ha raccontato nei giorni scorsi Ricicla.tv, anche se il passaggio ai nuovi modelli è noto dal 2023 sono in molti ad averne preso atto solo nelle ultime settimane. Tanto che nella seconda metà di gennaio le Camere di Commercio sono state letteralmente travolte da richieste tardive di vidimazione dei nuovi modelli di registro, e stanno fissando appuntamenti quasi esclusivamente dopo il 13 febbraio.
Chi verrà colto a operare senza registro rischierà sanzioni amministrative e penali e per questo molte imprese saranno costrette a fermarsi. Nei giorni scorsi è arrivata la mano tesa del servizio di supporto RENTRi, che rispondendo a un operatore ha suggerito a chi dovesse restare senza registro di iscriversi alla piattaforma anche se non obbligato, in modo da poterlo tenere in digitale senza doverlo vidimare fisicamente alle Camere di Commercio. Una soluzione tampone che, tuttavia, fa saltare la logica dell’avvio scaglionato, considerata uno dei punti di forza (e di discontinuità rispetto al Sistri) del nuovo sistema.
Non va meglio per le imprese obbligate a iscriversi al RENTRi, che non solo dovranno digitalizzare il registro con gli strumenti di supporto gratuiti sulla piattaforma ufficiale o, per le imprese più grandi e complesse, con software gestionali interoperabili, ma anche dotarsi di sistemi di firma elettronica e di servizi di conservazione a norma secondo le regole del Codice dell’Amministrazione Digitale. L’arrivo della nuova tracciabilità informatica richiederà insomma una profonda opera di adeguamento dell’organizzazione, delle competenze e delle prassi aziendali, ma anche in questo caso non tutti i soggetti interessati sembrano aver colto la vera portata della transizione, e ora in tanti stanno provando a correre ai ripari affidandosi a studi di consulenza e produttori di software gestionali. Che dal canto loro, subissati di richieste, difficilmente riusciranno ad accontentare tutti.
Le software house, del resto, sono già in affanno nel tentativo di adeguare per tempo gli applicativi in uso ai loro clienti e formarli sulle corrette procedure. Anche se la sperimentazione dell’interoperabilità con il MASE è partita nel 2021, infatti, le linee di codice definitive sviluppate da Ecocerved (società informatica delle Camere di Commercio) sono state pubblicate solo lo scorso aprile, con diversi mesi di ritardo sul cronoprogramma concordato. In più il continuo rilascio di aggiornamenti (gli ultimi pochi giorni fa) costringe i produttori di software a mettere mano di volta in volta ad aggiustamenti e modifiche. In diversi casi le prime consegne degli applicativi gestionali aggiornati sono arrivate solo a dicembre, lasciando di fatto alle aziende che dovranno utilizzarli un pugno di settimane per sperimentarli e consolidare le proprie prassi operative.
Tra prese d’atto tardive, ritardi nell’adeguamento dei software gestionali e difetti di comunicazione istituzionale, al netto dell’ampia e capillare attività di formazione messa in campo in questi mesi dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali, gli ultimi giorni prima dell’avvio della nuova tracciabilità hanno somigliato a una frenetica, affannata corsa contro il tempo. In questo scenario, tuttavia, più che tecnico o tecnologico il principale ostacolo all’avvio ordinato del RENTRi resta di natura normativa. Se da un lato, infatti, il nuovo sistema non ha cambiato il quadro di riferimento della tracciabilità, che resta quello del Testo Unico Ambientale, dall’altro ha lasciato irrisolte le difficoltà interpretative preesistenti. In più, il fatto che la normativa di base sia rimasta invariata non è servito a evitare che la disciplina di dettaglio del RENTRi, introdotta dal decreto ministeriale 59 e dai decreti direttoriali, potesse contenere passaggi non coordinati o addirittura contrastanti rispetto alla legge di rango primario, più volte segnalati da esperti e consulenti.
Il compito di sciogliere i nodi, al momento, è delegato quasi esclusivamente al servizio di supporto sul portale RENTRi e alle FAQ fornite dal MASE. Che andranno bene solo se la loro validità sul piano giuridico verrà universalmente riconosciuta dagli enti di controllo. Come scrive il Consiglio di Stato, infatti, le FAQ non possono essere assimilate “a una fonte del diritto, né primaria, né secondaria”. Se a questo si aggiunge il fatto che in diversi casi, puntualmente segnalati dagli addetti ai lavori, le risposte ricevute sembrano contraddire le disposizioni contenute nei decreti direttoriali, si fa presto a capire quanto sia ancora fitta la nebbia che separa gli operatori dalla possibilità di definire, con assoluta certezza, prassi operative che non possano essere contestate a seguito di eventuali controlli. Con tutti i rischi che ne conseguono in termini di ricadute amministrative e penali, per le imprese, e di rallentamenti e inceppamenti nella gestione dei rifiuti a ogni altezza dello Stivale. Tuttavia, anche a fronte degli appelli di molte delle associazioni coinvolte nel processo, il MASE ha scelto (almeno fino a oggi) la via della fermezza, respingendo sia le richieste di proroga che quelle di sospensione delle sanzioni. Sul RENTRi, si sa, sono accesi i riflettori dell’Ue. Il tempo per imparare il copione, dice il Ministero, non è mancato. Non resta che andare in scena. Sperando non sia un flop.