Secondo Eurostat, nel 2020 l’Italia ha esportato quasi 529mila tonnellate di rifiuti da trattamento dei rifiuti, pari al 25% del totale spedito oltre confine da tutti gli Stati membri dell’UE. Che nello stesso anno, tra pericolosi e non, hanno esportato complessivamente oltre 22 milioni di tonnellate di rifiuti soggetti a obbligo di notifica
L’Italia, primatista europea del riciclo, è anche lo Stato membro dell’UE che riesce meno degli altri a gestire sul proprio territorio tutto quello che riciclabile non è. Soprattutto gli scarti generati dal trattamento meccanico dell’indifferenziato urbano e dei rifiuti differenziati, che finiscono all’estero per essere quasi sempre trasformati in calore ed energia negli impianti altrui. I dati Eurostat parlano chiaro: nel 2020, ultima rilevazione disponibile, il nostro paese ha spedito fuori dai propri confini quasi 529mila tonnellate di rifiuti classificati con il codice 191212, quantità che ha rappresentato la fetta principale (25%) dei 2,1 milioni di tonnellate esportati dagli Stati membri dell’UE e finiti per il 73% in impianti di recupero energetico o in coincenerimento in impianti produttivi al posto di combustibili fossili. Principale Stato importatore i Paesi Bassi, che hanno ricevuto il 18% dei rifiuti esportati dagli altri paesi UE. Anche nell’anno della pandemia insomma, i pochi spazi disponibili in impianti di incenerimento e discarica nel nostro paese e gli alti costi di conferimento hanno spinto le imprese italiane a cercare condizioni più vantaggiose negli impianti esteri. Una pratica ormai consolidata, soprattutto per i rifiuti derivanti dal trattamento degli urbani, contro la quale nel novembre del 2021 si era espressa anche la Corte di Giustizia dell’UE.
Tornando al quadro europeo, mentre si lavora alla revisione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti i dati Eurostat certificano come anche nel 2020 il mercato interno dell’UE abbia rappresentato la meta principale per i rifiuti esportati dagli Stati membri tra quelli soggetti a obbligo di notifica, ovvero I flussi sensibili di rifiuti (pericolosi e non) la cui spedizione transfrontaliera deve essere preventivamente comunicata alle autorità di controllo. Su oltre 22 milioni di tonnellate movimentate, 20 sono rimaste dentro i confini dell’UE, 18 delle quali (il 90%) per essere avviate a operazioni di recupero. Nello specifico, gli Stati membri hanno trasportato all’estero quasi 15 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi, rappresentati per il 32% da rifiuti da costruzione e demolizione (circa 4,8 milioni di tonnellate) esportati prevalentemente dal Lussemburgo e diretti principalmente in Francia.
Impressionante invece il dato sui rifiuti pericolosi: nel periodo tra 2001 e 2020 le esportazioni sono più che raddoppiate, passando da 3,9 a 8,1 milioni di tonnellate, 7,3 dei quali diretti in altri Stati membri dell’UE per essere avviati prevalentemente a recupero (5,9 milioni di tonnellate, pari all’80%). Sul podio dei Paesi esportatori la Francia (2,1 milioni di tonnellate), i Paesi Bassi e, ancora una volta, l’Italia (1,1 milioni di tonnellate), mentre la Germania ha importato le quantità maggiori, pari a oltre 2 milioni di tonnellate. Tra i Paesi OCSE e non appartenenti all’UE invece in cima alla lista delle destinazioni si collocano Regno Unito e Turchia (le esportazioni verso Paesi non-OCSE sono invece vietate dalla convenzione di Basilea). Il 79,5% del totale esportato, spiega Eurostat, è stato sottoposto a operazioni di recupero. Gran parte dei rifiuti pericolosi esportati proviene da attività di costruzione e demolizione, come “miscele bituminose contenenti catrame di carbone” e “suolo e pietre contenenti sostanze pericolose”, ma spicca anche il dato sulle “batterie al piombo”, esportate per 393mila tonnellate e finite soprattutto in Spagna (88mila tonnellate).