Lo sganciamento tra la quantità di rifiuti prodotta dal sistema economico e la sua capacità di generare valore è uno dei tasselli chiave delle politiche di economia circolare, ma nel nostro Paese l’obiettivo si sta allontanando, denuncia il laboratorio Ref Ricerche nel suo ultimo position paper
Altro che disaccoppiamento. Negli ultimi dieci anni in Italia è successo tutto l’opposto: i rifiuti prodotti dalle attività economiche sono cresciuti a un ritmo costante anche se il PIL è diminuito. Dai 66,8 milioni di tonnellate del 2010 siamo passati a 81 milioni di tonnellate nel 2020, il 21% in più, mentre il prodotto interno lordo, nel frattempo, è letteralmente crollato dell’8,2%. Una differenza del 30% circa, mentre Francia e Germania, che possono vantare rispettivamente il -8,6% e un -3,2%, mostrano un disaccoppiamento avvenuto. Lo sganciamento tra la quantità di rifiuti prodotta dal sistema economico e la sua capacità di generare valore è uno dei tasselli chiave delle politiche di economia circolare, ma nel nostro Paese l’obiettivo si sta allontanando, denuncia il laboratorio Ref Ricerche nel suo ultimo position paper.
Con 51,6 kg ogni mille euro di PIL la nostra economia è quella a maggiore intensità di produzione di rifiuti in Europa. “Una parte rilevante della maggiore intensità di produzione di rifiuti primari è riconducibile al tessuto manifatturiero domestico, che si dimostra un produttore più consistente di rifiuti se raffrontato a quello di Francia e Germania”. Colpa di imprese sprecone o poco attente ai temi della progettazione sostenibile? No, dice Ref, piuttosto di un quadro giuridico che non agevola la riduzione a monte degli scarti, a partire da “una certa immaturità della disciplina dei sottoprodotti”. “Ciò che ha frenato lo sviluppo di tale istituto è l’incertezza applicativa della normativa di riferimento – spiega il paper – che porta gli operatori a preferire la classificazione come rifiuti, anziché come sottoprodotti, sottoponendosi così a regole più stringenti e onerose”. Uno strumento da snellire e potenziare, dice Ref, promuovendo parallelamente lo sviluppo di pratiche di simbiosi industriale, in linea con quanto previso dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare.
Sempre in tema di anomalie, stando all’analisi di Ref la fetta principale di rifiuti generati dal sistema economico nel 2020 è stata prodotta dalle attività di gestione delle acque e dei rifiuti con 42,2 milioni di tonnellate, ovvero il 52% del totale, seguite dalla manifattura, con 23,4 milioni di tonnellate, pari al 29%. La sola gestione dei rifiuti è cresciuta in dieci anni del 108%, arrivando con 37,2 milioni di tonnellate a rappresentare il primo settore produttivo di rifiuti in assoluto. Di questi, 25,3 milioni sono rappresentati da rifiuti da trattamento di rifiuti, anche questi aumentati fino a diventare “una peculiarità del sistema italiano”. “Più di un rifiuto su cinque di quelli derivanti dalle attività economiche è costituito da scarti di selezione”, calcola infatti Ref.
Il dato, chiarisce il paper, “non è di per sé un elemento negativo, in un Paese che eccelle nel riciclo ed è, al contempo, povero di materie prime”. E che per questo ‘spreme’ i suoi rifiuti in impianti di trattamento intermedio per ricavarne tutto quanto possa essere riciclato. “È evidente, tuttavia – aggiunge però Ref – che tali numeri celano anche la mancanza di impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti, specialmente di recupero energetico“. Considerazioni che trovano conferma negli ultimi dati di Eurostat, che vedono il nostro Paese in cima alla classifica per quantità di scarti non riciclabili esportati in altri Stati membri dell’UE (529mila tonnellate di rifiuti classificati con il codice 191212), a indicare ancora una volta l’insufficiente dotazione di impianti per il recupero delle frazioni a minor valore aggiunto, soprattutto di quelle derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani. Un gap che il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti punta a colmare chiedendo alle regioni di privilegiare nei propri piani di gestione l’avvio a recupero energetico senza pretrattamenti, anche stabilendo accordi di macroarea. In più, dice Ref, serve promuovere l’innovazione dei trattamenti finalizzati al riciclo spingendo sull’adozione di regolamenti ‘end of waste’, “così da efficientare i processi di trattamento e limitare il ricorso a trattamenti intermedi”.