Con il nuovo regolamento Ue sulle spedizioni di rifiuti dal 2026 sarà più difficile esportare scarti in plastica. Ma i numeri dicono che i flussi verso i paesi terzi sono i costante calo. Ad aumentare, ora, è l’importazione di polimeri riciclati. A un ritmo che rischia di travolgere le imprese europee. E a dare il colpo di grazia potrebbe essere il nuovo regolamento imballaggi
Da oltre 2,5 a poco più di 1 milione di tonnellate. Nel periodo tra 2008 e 2022 le esportazioni di rifiuti in plastica dall’Ue verso paesi terzi sono più che dimezzate. Con un brusco calo a cavallo tra 2016 e 2018, in corrispondenza dello stop alle importazioni deciso dalla Cina, che fino ad allora era stata la principale destinazione per gli scarti plastici a minor valore aggiunto che le imprese europee non riuscivano a recuperare. Nello stesso periodo, seguendo un trend in crescita già dai primi anni 2000, gli scambi sul mercato interno dell’Unione sono passati da circa 1,2 milioni di tonnellate a più di 2,5. Nel giro di meno di tre lustri, insomma, il mercato dei rifiuti in plastica europei si è completamente ribaltato, come spiega un rapporto dell’European Environment Agency.
L’inversione tra flussi extra e intra Ue sembra destinata a subire una ulteriore accelerazione con la prossima entrata in vigore della riforma del regolamento europeo sulle spedizioni di rifiuti, adottata ieri dall’europarlamento e pronta, dopo la ratifica finale da parte del Consiglio, a finire in Gazzetta Ufficiale. Da quel momento scatterà un periodo transitorio di due anni che porterà nel 2026 alla piena operatività delle nuove regole. Che prevedono, su proposta del Parlamento, anche lo stop definitivo all’invio di rifiuti in plastica verso i paesi non OCSE e un generalizzato irrigidimento delle procedure per le esportazioni verso i paesi OCSE. Come la Turchia, oggi principale destinazione delle plastiche europee di scarto, che nel 2022 ne ha importato oltre 342mila tonnellate (il 29% del totale esportato verso paesi non Ue).
Anche se i numeri restano alti (soprattutto quelli dei flussi verso Ankara, non sempre trasparenti) lo scenario sul quale impatteranno le nuove regole europee, viene fuori dall’analisi dell’EEA, non è quello di qualche anno fa, quando l’Ue inondava i paesi terzi dei rifiuti che non poteva (o voleva) recuperare. I numeri dicono infatti non solo che le esportazioni sono complessivamente in calo, ma che quelle dirette verso i paesi destinati a diventare ‘off-limits’ dal 2026 calano a loro volta a un ritmo superiore. A differenza di quanto accadeva nel 2014, quando paesi OCSE e non OCSE si dividevano praticamente a metà la torta dell’export, se entrasse in vigore oggi, lo stop ‘tout court’ alle esportazioni interesserebbe infatti meno del 20% dei flussi in uscita dall’Ue. Circa 200mila tonnellate, al netto dei flussi illegali naturalmente, visto che l’analisi non può tenere conto delle quantità che invece viaggiano nei canali del traffico illecito. Anche quelli, nelle intenzioni dell’Ue, dovranno essere contrastati con più decisione dal nuovo regolamento sulle spedizioni transfrontaliere.
Nel prossimo futuro, insomma, sul mercato dell’Unione gireranno più rifiuti in plastica da selezionare e riciclare. Una buona notizia per le imprese del riciclo, che riconoscono la necessità di “garantire che l’Ue si occupi dei propri rifiuti”, come scrive in una nota l’associazione EuRIC a patto però che i prodotti del riciclo poi trovino nuova collocazione in sostituzione dei materiali vergini. Motivo per cui i riciclatori europei, che negli ultimi anni hanno investito per aumentare la capacità dei propri impianti, chiedono misure di supporto e incentivo alla domanda di riciclati. Un appello al quale l’Ue ha fin qui risposto con l’introduzione di un obbligo di contenuto minimo riciclato per le bottiglie in PET (25% entro il 2025), e la previsione di nuovi target vincolanti, come quelli della proposta di regolamento sul packaging in plastica: 35% al 2030 e del 65% al 2040. Il problema è che lo stesso regolamento imballaggi, e le misure traino per la domanda di riciclati che contiene, potrebbero trasformarsi in un requiem per le imprese europee del riciclo.
“Negli ultimi anni – spiega EuRIC in un position paper – gli obiettivi relativi al contenuto riciclato degli imballaggi in plastica sono stati determinanti per stimolare la domanda di plastica riciclata, hanno inviato un messaggio potente alle imprese di riciclo, stimolando investimenti in nuovi impianti in grado di soddisfare la domanda interna. Oggi però l’aumento incontrollato delle importazioni di plastica a basso costo, sia vergine che etichettata come riciclata, sta gravemente danneggiando l’industria europea”. Dopo il forte aumento delle quotazioni dei riciclati sul mercato interno, spinte dalla ripartenza post pandemica, nel 2023 i valori sono crollati di oltre il 50%, spiega EuRIC. Questo perché in Ue hanno cominciato ad affluire polimeri riciclati provenienti da paesi terzi, venduti a prezzi più competitivi di quelli offerti dai riciclatori europei. E utilizzati, questo il sospetto delle imprese Ue, anche per far fronte ai nuovi obblighi di contenuto minimo nelle bottiglie.
“Queste materie plastiche, importate principalmente dai paesi asiatici – spiega EuRIC – vengono lavorate in condizioni che non soddisfano gli standard Ue“. Con minori oneri sotto il profilo ambientale e sociale, ma anche con ridotti se non inesistenti requisiti di tracciabilità e con certificazioni poco attendibili sul reale contenuto riciclato. Per questo, oltre a costare meno dei polimeri prodotti in Europa, i materiali d’importazione offrono anche minori garanzie sotto il profilo sanitario. Un autentico contrappasso, insomma: proprio mentre l’Ue chiude i rubinetti dell’export, dopo aver lasciato scorrere per anni i rifiuti a minor valore aggiunto verso paesi lontani, quegli stessi rifiuti stanno ora allagando il mercato dell’Unione nella forma di materiali riciclati. E i contraccolpi si fanno sentire non solo sul fronte dei prezzi. Secondo Plastics Recyclers Europe nel 2023 sono infatti tornate a salire anche le esportazioni di rifiuti verso paesi terzi: +18%, stando alle serie storiche di Eurostat.
Ma l’inondazione vera, avvertono le imprese, è ancora di la da venire. A rompere definitivamente gli argini, infatti, potrebbe essere proprio il futuro regolamento sugli imballaggi e, nello specifico, i nuovi obblighi di contenuto minimo riciclato nel packaging in plastica. Se nel corso dei triloghi tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue, infatti, dovesse passare la proposta, caldeggiata dai produttori di packaging, di allargare la definizione di ‘rifiuti in plastica’ anche ai rifiuti derivanti da prodotti immessi sul mercato extra-Ue, sarebbe la stessa legge a sancire la possibilità di raggiungere gli obiettivi di contenuto minimo riciclato utilizzando polimeri d’importazione. Un’apertura che rischia di trasformarsi nel colpo di grazia per i riciclatori europei.
“Consentire ai rifiuti di plastica extra-Ue di contribuire al raggiungimento degli obiettivi anche per gli imballaggi prodotti e riempiti nell’Ue, senza l’implementazione di meccanismi di controllo e verifica affidabili, avrebbe un impatto negativo su un mercato già in contrazione e minacciato”, scrive in una nota Plastics Recyclers Europe. Nel 2022 la capacità industriale di riciclo della plastica installata in Europa è cresciuta del 10%, raddoppiando rispetto ai livelli del 2017 e toccando i 12,5 milioni di tonnellate. Ma gli investimenti stanno rallentando (nel 2021 erano cresciuti del 17%) e di questo passo, avverte PRE, non riusciranno a raggiungere l’obiettivo dei 10 milioni di tonnellate di polimeri secondari al 2025 previsto dalla strategia Ue per la plastica. Soprattutto se la stessa Ue dovesse mantenere una posizione non chiara sui polimeri d’importazione.
“Allo stato attuale – chiarisce l’associazione – i legislatori stanno inviando un messaggio fuorviante: non vale la pena investire nella catena europea del valore del riciclo della plastica. I riciclatori sono i primi a pagarne le conseguenze, ma i trasformatori e i produttori di materie prime sono i prossimi. Chiediamo urgentemente alle istituzioni dell’Ue di introdurre tutele per l’industria europea della plastica e di garantire condizioni di parità“. Più radicale la posizione di EuRIC, secondo cui, al di là della necessaria introduzione di “un solido sistema di tracciabilità, verificato da terze parti indipendenti” serve chiarire che “gli obiettivi minimi di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica immessi sul mercato nell’Ue devono essere soddisfatti utilizzando rifiuti di imballaggio in plastica post-consumo raccolti solo all’interno dell’Ue“. Resta da vedere se le istituzioni europee, dimostratesi sensibili alla richiesta di una stretta all’export di rifiuti, si dimostreranno altrettanto ricettiva nei confronti degli appelli per un giro di vite all’import di materiali riciclati.
Articolo interessantissimo! Molte grazie