Nel 2021 l’UE ha esportato 33 milioni di tonnellate di rifiuti verso Paesi non UE, finiti per oltre il 40% in Turchia. A viaggiare sono soprattutto rottami e carta, ma l’Europa ora vuole chiudere i canali. Tra le proteste dei riciclatori. Anche in Italia, dove il governo ha già dato il suo giro di vite
Mentre l’Unione Europea lavora alla revisione della disciplina sulle spedizioni di rifiuti, tra le proteste degli operatori del riciclo, le esportazioni extra UE continuano a crescere, toccando secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al 2021 la cifra record di 33 milioni di tonnellate, in leggero aumento rispetto alle 32,7 dell’anno precedente. Segno che di rifiuti se ne producono e gestiscono sempre di più e che non tutte le frazioni che derivano dal loro trattamento riescono poi a trovare spazio sul mercato del recupero entro i confini dell’Unione. Anche nel 2021 rottami ferrosi e carta da macero si confermano le tipologie di rifiuti più esportate verso paesi extra UE, rispettivamente con 19,5 milioni e 4,4 milioni di tonnellate. Un surplus strutturale che acciaierie e cartiere dell’Unione non sono in grado di assorbire e che riciclatori e broker europei vendono al miglior offerente sul mercato internazionale. Guardando quasi esclusivamente a oriente.
Tramontato il dominio commerciale della Cina, passata dalle 10 milioni di tonnellate del 2009 ad appena 0,4 nel 2021 per effetto dei giri di vite imposti dal governo di Pechino a partire dal 2018, è la Turchia oggi a fare la parte del leone, avendo importato 14,7 milioni di tonnellate di scarti, ovvero quasi la metà dei rifiuti che l’Unione non ha recuperato dentro i propri confini. Seguono India (2.4 milioni di tonnellate), ed Egitto (1.9 milioni). In crescita il Pakistan, passato da 0,1 milioni di tonnellate nel 2004 a 1,3 nel 2021. Primo importatore a livello globale, Ankara domina di fatto il mercato del rottame di ferro e nel 2021 ha fagocitato i due terzi di quello esportato dai Paesi UE, pari a 13,1 milioni di tonnellate, il 67% delle esportazioni di rottame e il 40% di quelle totali. Sul fronte della carta invece è l’India ad aver ricevuto le quantità maggiori (1,2 milioni di tonnellate), seguita dall’Indonesia (0,9 milioni di tonnellate) e dalla stessa Turchia (0,4 milioni di tonnellate).
Rottami di ferro e carta pesano per oltre il 70% delle esportazioni, ma la lista dei rifiuti finiti fuori dai confini dell’UE è lunga e conta anche scarti tessili, residui minerali, plastiche e gomma. Canali, quelli dell’export internazionale, che secondo la Commissione europea nascondono anche autentici fenomeni di traffico illecito, soprattutto per le frazioni più difficili da recuperare. Tra il 15% e il 30% delle spedizioni “potrebbe essere illegale, per un importo di 9,5 miliardi di euro”, sostiene Bruxelles, decisa a dare un giro di vite all’export extra UE. La proposta di revisione del regolamento europeo sulle spedizioni di rifiuti non piace però ai riciclatori europei. Secondo l’associazione di comparto EuRic, infatti, l’approccio “di tutta l’erba un fascio” adottato dalla Commissione non tiene conto della “differenza tra rifiuti non trattati, che non dovrebbero essere esportati, e materie prime secondarie da riciclo che invece dovrebbero essere commercializzate senza limitazioni”. Il rischio, dice l’associazione, è che limitando le esportazioni di rottami e maceri fuori dall’UE e in assenza di domanda da parte delle acciaierie e cartiere dell’Unione, il surplus di mercato possa determinare un crollo dei prezzi tale da compromettere la remunerazione delle attività di raccolta, selezione e riciclo.
La proposta di revisione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti, presentata lo scorso novembre dalla Commissione, è ora al vaglio di Consiglio e Parlamento UE. Nel frattempo, preoccupato non tanto dal fenomeno dei traffici illeciti quanto dalla stabilità degli approvvigionamenti per l’industria siderurgica nazionale, il governo italiano ha già dato il suo personalissimo giro di vite alle esportazioni di rottame ferroso. Con il decreto ‘Ucraina bis’ convertito in legge lo scorso 20 maggio, infatti, fino al 31 luglio 2022 le imprese che intendano commerciarne al di fuori dei confini dell’UE saranno obbligate a fornire ai Ministero dello sviluppo economico e al Ministero degli affari esteri una informativa completa dell’operazione almeno dieci giorni prima della spedizione, pena salate sanzioni pecuniarie. Procedura che di fatto disincentiva l’export. L’obiettivo è quello di evitare che l’aggressiva politica di mercato turca possa sottrarre quote di rottame nazionale alle acciaierie italiane, ora che il conflitto in Ucraina ha chiuso quello che per Ankara era fino a gennaio di quest’anno il principale canale d’importazione. Un rischio che secondo i riciclatori italiani, che hanno bollato come “incomprensibile” la misura, non sussiste. Le quote esportate dall’Italia, dice Assofermet, sono infatti residuali, mentre il fabbisogno che le acciaierie italiane non riescono a soddisfare con rottame nazionale, pari a circa 5 milioni di tonnellate annue su un totale di oltre 20 consumate, può essere soddisfatto “in modo regolare” dal surplus strutturale di rottame nella UE, che nel 2020 ammontava a circa 24 milioni di tonnellate.
Buongiorno, innanzi tutto c’è una questione terminologica: chi seleziona, cernisce e movimenta rifiuti…non è un riciclatore! E’ una evidente contraddizione in termini. Per chi seleziona, cernisce e movimenta? Per chi ricicla in Europa o fuori dall’Europa
La disciplina delle spedizioni dei rifiuti sono un tema importante nella quale convivono diverse ratio: quella della tutela ambientale, ma anche la necessità di individuare dei perimetri omogenei sotto un profilo geopolitico.
Ad esempio, la Decisione UE 2020/1829 adottata dal Consiglio del 24 novembre 2020 (GUCE n. 409 L del 4 dicembre scorso) relativa alla presentazione, a nome dell’Unione europea, di proposte di modifica della convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento ha anche l’obiettivo di sostenere una gestione ecologicamente corretta dei rifiuti a livello mondiale contribuendo alla transizione verso una economia circolare mondiale. La condizione espressa al punto 1, lettera b), dell’allegato III A del regolamento n. 1013/2006 rinvia anch’essa all’esigenza di “recupero in modo ecologicamente corretto”. Sebbene tale nozione non sia espressamente definita in tale regolamento, occorre tuttavia rilevare che, al pari della definizione della nozione di “gestione ecologicamente corretta” di cui all’articolo 2, punto 8, di detto regolamento, il recupero in modo ecologicamente corretto dei rifiuti si riferisce a qualsiasi misura pratica che consenta di assicurare che i rifiuti siano recuperati in un modo che garantisca la protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi che tali rifiuti possono avere. A tale riguardo, è giocoforza constatare che il regolamento n. 1013/2006 non contiene alcun altro criterio che consenta di precisare ulteriormente la portata di tale condizione menzionata
Ne risulta che deve essere concesso a ciascuno Stato membro un certo margine di discrezionalità nell’attuazione di detto punto 1 (par. 64 e 67 Corte di Giustizia UE, sez. V 28 maggio 2020 n. C – 654/18).
D’altro canto l’Unione Europea viene individuata e perimetrata come un’area omogenea sotto il profilo ambientale.
Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 205 bis (Regole per il calcolo degli obiettivi) del Dlgs 152/2006 (introdotto dal Dlg 116/2020), “è possibile computare i rifiuti esportati fuori dell’Unione per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio soltanto se gli obblighi di cui all’art. 188 bis sono soddisfatti e, se in conformità del regolamento CE n. 1013/2006, l’esportatore può provare che la spedizione dei rifiuti è conforme agli obblighi di tale regolamento e il trattamento dei rifiuti al di fuori dell’Unione ha avuto luogo in condizioni che siano ampiamenti equivalenti agli obblighi previsti dal pertinente diritto ambientale dell’Unione”.
Indicare che “il trattamento dei rifiuti al di fuori dell’Unione ha avuto luogo in condizioni che siano ampiamenti equivalenti agli obblighi previsti dal pertinente diritto ambientale dell’Unione” significa definire la UE come un’area omogenea sotto il profilo ambientale.
Tale disposizione è identica a quella prevista dal successivo art. 220 comma 6 sexies.
Quindi, nel caso di rifiuti avviati a riciclaggio fuori dall’Italia, è fondamentale avere dagli operatori assicurazioni circa l’avvio a riciclaggio nello Stato membro oppure, nel caso di esportazione, è necessario che gli stessi provino che ciò sia avvenuto in condizioni ampiamente equivalenti agli obblighi previsti nell’Unione.
Durante le audizioni per la conversione del DL Ucraina, che contiene l’art. 30 sulla limitazione all’export dei rottami, come Assocarta è stata rappresentata l’esigenza di una più compiuta applicazione degli artt. 205 bis e 220 comma sexies sopra citati.
Qualcuno ha scritto che tale proposta sarebbe una limitazione all’export.
In realtà si tratta solo dell’applicazione delle norme sulle spedizioni dei rifiuti extra UE che già ci sono e che, ora, in un contesto di difficoltà di approvvigionamento delle materie prime potrebbero assumere un significato ancora più importante.
E, tuttavia, tali norme sull’avvio al riciclo non possono e non devono essere intese come “cesure” della filiera, ma piuttosto un’occasione per ricostruire la filiera sotto il profilo dell’export ed anche dell’import.
Vanno trovate norme e meccanismi per “riconciliare” status non necessariamente identici, ma che pure perseguono gli stessi obiettivi di valorizzazione. Guardando i numeri: il net trade di carta da riciclare verso l’extra UE diminuisce e anche l’Italia ha incrementato il riciclo del 15%. E scusate se non è poco.
D’altro canto la stessa Decisione UE 2020/1829 adottata dal Consiglio del 24 novembre 2020 fa riferimento ad una gestione ecologicamente corretta dei rifiuti a livello mondiale e contribuire alla transizione verso una economia circolare mondiale.