La legge di conversione del decreto ambiente riscrive la disciplina del responsabile tecnico, ruolo che potrà essere ricoperto anche dal legale rappresentante senza verifiche di idoneità. La riforma del 2017, dicono i numeri, non ha funzionato ma il colpo di spugna rischia di far fare alle imprese un salto indietro nel tempo sul percorso verso la piena professionalizzazione e responsabilizzazione
“Una presa in giro”. “Uno schiaffo all’ambiente”. “Perde la sicurezza nella gestione dei rifiuti in Italia”. “Una vuota elusione degli obblighi formali”. E così via. Non si contano i messaggi di protesta e indignazione che via social stanno accogliendo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto ambiente. Messaggi dal tono amaro, condito dallo sconforto per una riforma che non ha mai traguardato gli obiettivi prefissati e che ora sembra giunta al capolinea. Con un intervento passato piuttosto in sordina tranne che tra gli addetti ai lavori: la modifica della parte IV del Testo Unico Ambientale che ha concesso al legale rappresentante di un’impresa iscritta all’Albo Nazionale Gestori Ambientali la facoltà di assumere il ruolo di responsabile tecnico per la stessa impresa “a condizione che abbia ricoperto il ruolo di legale rappresentante presso la stessa per almeno tre anni consecutivi”. Sembra un tecnicismo, ma tradotto in parole povere significa che dallo scorso 17 dicembre le imprese obbligate per legge a dotarsi di un responsabile tecnico, ruolo centrale per “assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti” secondo il regolamento dell’Albo, non dovranno più affidare il compito a una figura ad hoc ma potranno fare da sé. L’obbligo, di fatto, diventa quasi per tutti una facoltà.
Un regalo di Natale che di sicuro farà piacere alle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, tanto più in tempi in cui si lotta con unghie e denti per mantenere bassi i costi operativi e restare competitivi. Meno gradita la sorpresa sotto l’albero per gli rt abilitati. “Oltre alla presa in giro per le migliaia di persone che hanno investito tempo e denaro per sostenere le verifiche di idoneità e oltre al danno per i professionisti che ricoprono questo ruolo per imprese terze – scrive Matteo, responsabile tecnico, su LinkedIn – mi domando come tale previsione possa essere coerente con i ruoli previsti per il responsabile tecnico”. Che sono ampi, variegati e, soprattutto, prevedono un elevato livello di conoscenza della disciplina normativa, amministrativa e tecnica di riferimento. Requisiti che il legale rappresentante, per il solo fatto di esserlo, non è detto possieda. Soprattutto per le attività più sensibili tra quelle svolte dalle imprese iscritte all’Albo. “Se non verranno posti dei correttivi anche categorie delicate come la cat. 9 e la cat. 10 (bonifiche e rimozione amianto) – prosegue il post – potranno beneficiare di questa esenzione esponendo l’ambiente e la popolazione ad attività potenzialmente condotte senza l’adeguatezza tecnica“.
Stando alla legge di conversione del decreto ambiente, infatti, il legale rappresentante potrà fare da responsabile tecnico “senza necessità di verifica di idoneità iniziale e di aggiornamento”. Quello che molti considerano un autentico colpo di spugna sulla disciplina che dal 2017 ha affidato direttamente all’Albo il compito di verificare l’idoneità dei responsabili tecnici, per ottenere la quale fino a quel momento bastava frequentare corsi di formazione (spesso tutt’altro che trasparenti). Un irrigidimento pensato per aumentare il livello di professionalizzazione degli rt, che oggi devono sottoporsi a rigorose verifiche periodiche commisurate all’ampio spettro delle loro attribuzioni. In base alla delibera 1 adottata a gennaio 2019 dal comitato nazionale dell’Albo, i compiti del responsabile vanno infatti dal coordinare i dipendenti dell’impresa al definire procedure d’urgenza, passando naturalmente per la funzione di vigilanza sul rispetto della normativa e delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni. Profili di responsabilità che secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione pongono il rt in “una vera e propria ‘posizione di garanzia’ relativa al rispetto della normativa – scrivono i giudici – con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa“.
Tuttavia, secondo Confindustria, principale sponsor dell’intervento contenuto nel decreto ambiente, la professionalizzazione del rt avrebbe portato a “un tasso di abilitazioni che non supera il 30%“. Cosa che, scriveva l’associazione in una memoria depositata al Senato, “sta portando unicamente ad una restrizione dell’offerta, con aumento di costi e difficoltà operative per le imprese, in particolare le PMI”. Stando ai dati diffusi dall’Albo in occasione dell’ultima assemblea annuale, a fronte di 25 mila imprese obbligate a oggi si registrerebbero 7.500 rt abilitati. Un rapporto quasi di uno ogni quattro aziende. È vero quindi che il numero degli rt disponibili non si avvicina a quello delle imprese obbligate, ma è anche vero che non tutte le imprese sono uguali per complessità e dimensione e per questo ogni rt può ricoprire il ruolo anche per più di un operatore. Il problema però, come chiarito anche dal presidente dell’Albo Daniele Gizzi in occasione dell’ultima assemblea annuale a Ecomondo, è che oggi “i primi dieci rt per numero di incarichi hanno circa 120 aziende a testa, mentre circa 1.500 abilitati non ne hanno nemmeno uno“.
Se da un lato la moltiplicazione degli incarichi in capo al singolo responsabile ha consentito alle imprese di rispettare l’obbligo di dotarsi di un rt anche a fronte del rapporto uno a quattro tra offerta e domanda, dall’altro ha dato luogo a una evidente distorsione. “Diversi degli rt che hanno assunto l’incarico per più di 100 aziende lo fanno per 800 o 1000 euro l’anno – dice a Ricicla.tv un responsabile che preferisce rimanere anonimo – senza mai incontrare il cliente“. Cosa che depotenzia la funzione di presidio, anche fisico, del rt e che spiega perché negli anni le aziende, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, abbiano percepito l’obbligo di dotarsi di un rt “più che altro come una tediosa e inutile gabella“. Sul fronte dei costi oggi “si va da un minimo di 200 euro al mese per le imprese più piccole a un massimo di 1.500 euro per quelle medio grandi – racconta in forma anonima una consulente attiva soprattutto al nord – anche se al sud i prezzi sono mediamente più elevati il costo medio nazionale non supera i mille euro al mese“. Prezzi di mercato non stellari, insomma. Che vanno molto bene per chi mette insieme decine di incarichi, meno per chi ha scelto di puntare su un numero inferiore di imprese e un’interpretazione meno seriale del ruolo.
Sta di fatto che il sistema avviato nel 2017 non ha fin qui dato prova di funzionare per come era stato immaginato. “Se l’obiettivo era raggiungere non dico un rapporto uno a uno tra numero di responsabili e numero di aziende ma qualcosa di simile, allora quell’obiettivo non è stato raggiunto”, commentava Gizzi a Ecomondo. La soluzione? Si può partire dall’aumentare il numero di rt alleggerendo le verifiche, “e ci stiamo lavorando”, ha garantito. Limitare il numero di incarichi? “A patto che le imprese non vadano in difficoltà nel reperimento di rt”, ha aggiunto, chiarendo che “tutto si può ripensare, ma non a scapito delle imprese”. Piuttosto che contribuire a correggere le storture del sistema, tuttavia, la legge di conversione del decreto ambiente sembra andare nella direzione di una sua delegittimazione, eliminando per tutti – grandi, medi o piccoli che siano – “l’obbligo di esternalizzazione”, come scriveva Confindustria nella propria nota. Buttando il bambino con l’acqua sporca si rischia di fare un passo indietro, o peggio un vero e proprio salto temporale nella direzione sbagliata, lungo il percorso verso la piena professionalizzazione e responsabilizzazione degli operatori.
Sono senza parole. Ci sono persone/legali rappresentanti di imprese che non sono assolutamente in grado di assolvere al ruolo di RT. Se l’aspetto economico è la motivazione di questo passo da gambero qualcuno dovrà spiegare il senso delle prove di idoneità (quinquennali di aggiornamento) e di una sentenza della Corte di Cassazione che attribuisce ruolo di SOGGETTO DI GARANZIA AD UN RT che di fatto può fare chiunque anche senza preparazione.
È l’Italia delle barzellette!
Un passo indietro verso la sicurezza sul lavoro, giusto 3 giorni dopo l’incidente al PSA di Genova…bene ma non benissimo direi