Con il 18,7% l’Italia è ai primi posti in Ue per utilizzo di materia riciclata. Ma da qualche anno il tasso sta calando. Nel frattempo a livello globale il consumo di risorse naturali è triplicato rispetto agli anni ’70. Ecco perché oggi più che mai serve rafforzare le filiere del recupero di materia dai rifiuti
Minori emissioni e consumi energetici, minore pressione sugli ecosistemi naturali ma anche un taglio netto alla dipendenza dalla disponibilità di materia prima vergine. Strategico, per un paese come l’Italia che di risorse naturali è notoriamente povero e che anche per questo ha imparato prima e meglio di tanti altri a recuperare dai rifiuti materiali da restituire all’industria e alla manifattura. Un riciclo nato per necessità e capace oggi di rappresentare una delle migliori declinazioni a livello europeo e mondiale delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale. In linea con lo spirito del Global Recycling Day, fissato dall’ONU al 18 marzo di ogni anno per ricordare che accanto alle sei risorse naturali che hanno tradizionalmente alimentato lo sviluppo economico e sociale sul pianeta – acqua, aria, carbone, gas naturale, petrolio e minerali – disponibili in quantità sempre più limitate e il cui sfruttamento intensivo mette a repentaglio interi ecosistemi, oltre che milioni di famiglie e imprese, serve considerare la materia riciclata come una ‘settima risorsa’.
A livello globale, tuttavia, i numeri continuano a tracciare uno scenario dalle tinte fosche. Solo pochi giorni fa, da Nairobi è stata proprio l’UNEP, l’agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite, a suonare il campanello d’allarme in occasione della presentazione del nuovo Global Resources Outlook. Stando allo studio, che ogni anno monitora il tasso di consumo delle risorse naturali sul pianeta, negli ultimi cinquant’anni il prelievo è più che triplicato e cresce a un ritmo superiore al 2,3% annuo. Nel 2024, spiega il report, raggiungeremo i 106,6 miliardi di tonnellate, a fronte dei 30 registrati nel 1970. Un’azione responsabile di oltre il 60% delle emissioni climalteranti e del 40% degli impatti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, e che in più aumenta le disparità sociali, visto che i paesi a basso reddito, riporta l’UNEP, consumano sei volte meno materiali e generano un impatto climatico 10 volte inferiore rispetto a quelli che vivono nei paesi ad alto reddito.
“Non dobbiamo accettare che il soddisfacimento dei bisogni umani debba richiedere un uso intensivo delle risorse – ha dichiarato il copresidente dell’International Resource Panel ed ex commissario Ue all’ambiente Janez Potočnik – dobbiamo smettere di stimolare il successo economico basato sull’estrazione. Con un’azione decisiva da parte dei politici e del settore privato, una vita dignitosa per tutti è possibile senza danneggiare la terra”, ha affermato. Una partita che l’Ue è pronta a giocare in prima fila anche sul campo del riciclo, una delle principali leve strategiche del nuovo piano d’azione sull’economia circolare, integrato nel Green Deal. Una direttrice che attraversa in maniera trasversale i principali dossier delle politiche verdi europee: dal Critical Raw Materials Act, che fissa al 2030 un obiettivo di riciclo del 25% per i minerali strategici utilizzati dall’industria europea, alla proposta di regolamento sui veicoli a fine vita, secondo cui il 25% delle plastiche nei nuovi veicoli dovrà provenire dal riciclo. Dal nuovo regolamento sul riuso delle acque reflue, che punta a portare da 1 a 6 miliardi di metri cubi l’acqua depurata reimpiegata, tra l’altro, in agricoltura, al nuovo regolamento sugli imballaggi, che sempre in tema di plastica fissa nuovi target di contenuto minimo riciclato del 35% al 2030 e del 65% al 2040.
Sfide alle quali l’Italia si presenta forte delle proprie filiere del riciclo, che oggi vantano tassi di recupero di materia dai rifiuti ai primi posti in Ue. Stando ai dati di CONAI, dagli imballaggi, che nel 2022 sono stati riciclati per il 71,5% (nel 2024 dovremmo sfiorare il 75%, in anticipo di sei anni sull’obiettivo Ue), abbiamo ricavato materia prima seconda capace di evitare l’estrazione di 11 milioni 832mila tonnellate di materia vergine, consentendo il risparmio di energia primaria derivante da fonti fossili pari a 56,19 terawattora e un taglio di più di 10 milioni e 226mila tonnellate di CO2 equivalente. Le sole imprese del riciclo della carta, spiega Unirima, hanno trasformato i rifiuti generati nel nostro paese in 6,6 milioni di tonnellate di maceri pronti a essere utilizzati nelle cartiere nazionali o scambiati sul mercato globale. “Siamo una filiera d’eccellenza dell’industria italiana – spiega il direttore generale di Unirima Francesco Sicilia – fatta da piccole e medie imprese che oggi rendono il settore cartario italiano leader in Europa”. Così come leader è il settore del riciclo dei rifiuti organici, dai quali, calcola invece il CIC, le imprese hanno ricavato 2,1 i milioni di tonnellate di compost, fertilizzante naturale che sostituito ai concimi di sintesi ha consentito di stoccare nel terreno circa 600mila tonnellate di sostanza organica, risparmiando 3,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. “Un esempio concreto di economia circolare – chiarisce la presidente del CIC Lella Miccolis – che evita il conferimento di rifiuto organico in discarica e contribuisce a riportare sostanza organica in un suolo sempre più impoverito”.
“I rifiuti, sia urbani che industriali sono parte della nostra vita – spiega a Ricicla.tv il presidente di Assoambiente Chicco Testa – fortunatamente stiamo lavorando con tecnologie sempre più innovative ed efficienti che ci consentono di recuperarne il più possibile ed evitare che i pochi che non si possono recuperare provochino danni”. Ed è anche grazie all’industria nazionale del riciclo se interi comparti dell’industria italiana oggi riescono meglio di tanti competitor a mettere la circolarità delle risorse al centro delle proprie strategie di sviluppo. Tamponando così la scarsa disponibilità di risorse naturali sul territorio nazionale e coniugando competitività e sostenibilità. L’industria siderurgica italiana, seconda in Europa per volumi dopo la Germania è prima per riciclo, dice Federacciai, con l’85% della produzione che nel 2022 è stato alimentato da 18,6 milioni di tonnellate di rottame. E anche l’industria cartaria, legata a una secolare tradizione di riciclo, grazie alla crescente disponibilità di maceri oggi vanta tassi di riciclo superiori al 65%: ogni 100 tonnellate prodotte, oltre 65 sono ottenute da carta da riciclare, riporta Assocarta.
Complessivamente, stando agli ultimi dati Eurostat, tra 2004 e 2022, l’Italia ha visto passare dal 5,8% al 18,7% il proprio tasso di utilizzo circolare delle risorse, attestandosi sopra la media europea dell’11,5% (2022) e collocandosi al quarto posto dopo Olanda, Belgio e Francia. Se misurato sul breve periodo, tuttavia, il dato assume ben altra connotazione visto che nel 2020 eravamo al 20,6%. Anche se di poco, insomma, la capacità dell’industria nazionale di sostituire materia riciclata alle risorse vergini sta rallentando. Proprio mentre per far fronte alla ‘policrisi’ l’Ue sta alzando l’asticella delle proprie politiche. “Stiamo lavorando per rafforzare le filiere industriali del riciclo – chiarisce Laura D’Aprile, capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente – soprattutto in settori come rifiuti elettrici, tessile e plastiche, in quest’ultimo caso anche per dare ‘gambe’ agli obblighi che deriveranno dal nuovo regolamento imballaggi. Senza dimenticare un settore chiave come quello del riciclo organico”. “Dobbiamo lavorare sull’effettivo riciclo, riducendo la quantità di scarti in ingresso negli impianti di compostaggio”, spiega Miccolis. “Occorre snellire le procedure burocratiche e rimettere al centro il tema della concorrenza”, aggiunge Sicilia.