Migliorare qualità e quantità della raccolta di imballaggi primari in Pet post-consumo e sganciarsi dalla gestione quasi-monopolistica del Conai e del consorzio di filiera per il packaging polimerico Corepla. Questo il duplice obiettivo finito da tempo nel mirino di Coripet, consorzio volontario per il recupero e l’avvio a riciclo dei contenitori in Pet per liquidi alimentari, nato nel 2013 dalla joint venture tra alcuni dei principali produttori, distributori e riciclatori di bottiglie e flaconi operanti sul mercato italiano. Obiettivo per raggiungere il quale adesso Coripet punta al riconoscimento dello status di “sistema autonomo”, come testimonia la richiesta ufficiale presentata lo scorso 12 aprile dal consorzio al Ministero dell’Ambiente.
Il modello proposto da Coripet è quello della “filiera chiusa” ovvero quel sistema nel quale il produttore di un bene di consumo ne rientri in possesso una volta che questo sia diventato rifiuto e, dopo la sua trasformazione in materia prima seconda, lo reimmetta nel ciclo produttivo. Nello specifico, Coripet propone l’organizzazione di una piccola raccolta selettiva con l’installazione di macchine dedicate a raccogliere esclusivamente imballaggi in Pet alimentare nei centri della grande distribuzione, garantendo premialità ai cittadini che restituiscono il packaging. Sistema già sperimentato da Coripet in Lombardia, Piemonte e Campania e attraverso il quale il consorzio punta ad avvicinare la raccolta del Pet alla fase di riciclo, migliorando la qualità degli imballaggi differenziati. Ottenere una raccolta di elevata qualità è infatti condizione imprescindibile ai fini del riutilizzo del Pet riciclato per la produzione di nuovi imballaggi alimentari: il cosiddetto “bottle to bottle”, principale obiettivo dell’iniziativa di Coripet.
Un’iniziativa sviluppatasi sulla scorta dei casi Pari e Conip, gli unici due consorzi ad aver fino ad oggi ottenuto il riconoscimento di sistema autonomo, sebbene relativamente alla sola raccolta e riciclo degli imballaggi secondari e terziari (quelli che servono per il trasporto e lo stoccaggio delle merci). Il primo, in particolare, ci è riuscito solo al termine di una lunga e controversa tenzone proprio con il Conai. La questione, tra l’altro, è finita di recente al centro del dibattito parlamentare, per una serie di misure contenute nel cosiddetto “ddl concorrenza”, in discussione al Senato, che puntano proprio a limitare il peso del Conai nel processo per il riconoscimento dei sistemi indipendenti. Una differenza non solo lessicale, quella tra “consorzio volontario” e sistema “autonomo” o “indipendente”. Infatti, pur operando dal 2013 su base volontaria nel recupero ed avvio a riciclo degli imballaggi in Pet post-consumo, i membri di Coripet (che rappresentano sul fronte della produzione il 25% del mercato nazionale di imballaggi per liquidi alimentari) continuano tuttora a versare a Conai e Corepla il cosiddetto Cac, Contributo ambientale Conai, calcolato sulla quantità di prodotto immesso a consumo e funzionale alla copertura dei costi di gestione delle bottiglie una volta che queste siano diventate rifiuto.
Entro 90 giorni dalla presentazione della domanda il Ministero dovrà decidere se conferire a Coripet lo status di sistema autonomo, sganciandolo definitivamente dal duopolio Conai-Corepla. A quel punto, i membri di Coripet sarebbero svincolati dall’obbligo di pagamento del Cac. Per loro, però, subentrerebbero nuovi obblighi. Primo fra tutti: la raccolta e l’avvio a recupero, secondo quanto stabilito dal Codice dell’ambiente, di almeno il 60% dei “propri imballaggi”, ovvero degli stessi imballaggi prodotti e immessi a consumo dai soci di Coripet, e non di imballaggi qualitativamente equivalenti. Inoltre, sempre secondo il Dlgs 152 del 2006, la raccolta dovrebbe essere garantita su tutto il territorio nazionale. Un vincolo, quello sui “propri imballaggi”, che i membri di Coripet chiedono da tempo al legislatore sia rimosso, per garantire maggiore concorrenza sul mercato del packaging riciclabile. Ad ogni modo, i vertici di Coripet si dicono fiduciosi e convinti di poter puntare al target dell’80% di riciclo degli imballaggi immessi a consumo dai propri consorziati.
Del resto, il fatto che sul mercato della raccolta differenziata la concorrenza tra imprese non fosse poi così “garantita” lo aveva denunciato nelle scorse settimane anche un report dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) nel quale – tra le altre cose – si dimostrava come, pur incamerando il Cac sulla quasi totale quantità di imballaggi plastici – non solo bottigliette in Pet – immessi a consumo in Italia, il sistema Conai-Corepla riuscisse in realtà a garantirne l’avvio a riciclo solo di una parte (il 21,6% nel 2014), mentre soltanto grazie al contributo dell’avvio a riciclo indipendente (16,3%) secondo l’Agcm le percentuali riescono a raggiungere e superare il target di legge del 26% (attestandosi sempre nel 2014 al 37,9% complessivo).
Se poi si guarda al solo Pet, ci si rende conto che l’azione di Conai e Corepla presenta ampi margini di miglioramento. Secondo un dossier presentato nelle scorse settimane al Senato da Coripet, delle 452mila tonnellate di imballaggi in Pet immessi a consumo in Italia nel 2015, solo 193mila sono state avviate a riciclo, meno del 50%. Lo scopo del nuovo consorzio, però, non è quello di sostituire i tradizionali schemi di raccolta differenziata, ma di affiancarli “al fine di sviluppare la capacità di riciclo del sistema”. Questo puntando all’implementazione di servizi di raccolta su superficie privata che consentano “l’avvio diretto a riciclo le cui operazioni sono certificate in ogni fase del processo (catena di custodia)”.
La notizia della presentazione al Ministero dell’istanza di riconoscimento come sistema autonomo da parte di Coripet ha fatto correre un brivido lungo la schiena dei vertici di Conai e Corepla, pronti a denunciare il rischio che la perdita di una quota consistente di Cac possa compromettere la tenuta dei sistemi di raccolta differenziata gestiti dai comuni dello Stivale. Un timore che, a ben vedere, potrebbe rivelarsi privo di fondamento, visto che nel suo dossier l’Agcm ha anche dimostrato come “i corrispettivi specificamente definiti dall’Accordo Anci-Conai (l’accordo quadriennale che regola i rapporti tra i consorzi ed i comuni e le somme che i primi, attingendo ai Cac incamerati, devono versare a vantaggio dei secondi, ndr) coprono al più il 20% del costo dell’attività di raccolta differenziata”. Questo significa che, sebbene la raccolta differenziata sia aumentata negli anni, e con essa quindi l’impegno di cittadini ed amministratori locali (ma anche i costi complessivi di gestione), in realtà a pagare l’80% del costo delle operazioni di gestione sono proprio i cittadini con la tariffa rifiuti.