Secondo uno studio di Ambrosetti per Erion, se l’Italia raggiungesse il target europeo del 65% di raccolta e riciclo dei Raee potremmo ricavare oltre 5mila tonnellate di materie prime critiche, riducendo costi, emissioni e soprattutto la nostra dipendenza dalle importazioni da altri Paesi. Cina e Russia in testa
Se l’Italia raggiungesse i tassi di riciclo dei best performer europei, potrebbe recuperare dai rifiuti elettrici ed elettronici 7mila 600 tonnellate di materie prime critiche. Con un risparmio di 13,7 milioni di euro sull’importazione delle cosiddette CRM, Crytical Raw Materials, risorse fondamentali per l’industria ma disponibili in maniera estremamente limitata sul Pianeta e per di più concentrate nelle mani di pochi player. Come la Cina, che da sola garantisce il 66% delle forniture mondiali e il 44% di quelle in ingresso in Europa. O come la Russia, dalla quale l’Italia importa palladio, rodio, platino e allumino per alimentare cicli di produzione industriale che da soli valgono ogni anno oltre 100 miliardi di euro, pari a più del 6% del PIL. Strategie di approvvigionamento che la crisi del mercato globale delle materie prime, aggravata dall’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, ci impone di ridefinire. Imparando a sfruttare meglio le ‘miniere urbane’ dei nostri Raee. Lo sottolinea uno studio realizzato da The European House Ambrosetti per Erion, principale sistema collettivo italiano per la raccolta e avvio a riciclo dei rifiuti tecnologici.
Secondo lo studio, nel 2021 l’Italia ha importato 2,9 milioni di tonnellate di materie prime critiche, entrate nella produzione di beni e servizi per circa 564 miliardi di euro e presenti in tutti i principali ecosistemi industriali, con punte dell’87% nel settore aerospaziale, che da solo necessita di 26 delle 30 CRM censite nel 2020 dall’Unione Europea. Le sole ‘terre rare’ hanno contribuito a generare circa 48 miliardi di euro di produzione industriale, pur essendo state importate per appena, si fa per dire, 605 tonnellate. E la centralità delle CRM, assicura Ambrosetti, è destinata ad aumentare di pari passo con il processo di transizione ecologica, vista la loro presenza in tutte le principali tecnologie di ‘power generation’ sostenibili. La domanda da qui al 2030, spiega l’istituto, è destinata ad aumentare di 7 volte rispetto al 2015 per il solare e di ben 44 volte per l’eolico. Oltre che nei pannelli e nelle pale, le CRM sono però nascoste di fatto in tutti i principali prodotti tecnologici. Per ogni mille tonnellate in più di Raee raccolti e avviati a corretto trattamento, stima infatti Ambrosetti, si recuperano 55,6 tonnellate di materie prime critiche. Il che significa aprire un nuovo canale di approvvigionamento capace di ridurre le dipendenza dalle importazioni.
“I rifiuti elettronici – ha spiegato Lorenzo Tavazzi, partner di The European House Ambrosetti – sono una ‘miniera urbana’ di metalli, che pur non sostitutiva dell’attività estrattiva può consentire di ridurre la dipendenza da materie prime critiche, garantendo al contempo benefici economici, ambientali e sociali”. Peccato che con il suo 39,4% l’Italia sia oggi al terzultimo posto in UE per il tasso di riciclo dei Raee, sette punti sotto la media del 46,8% e ancora più lontana dal target del 65% che ogni Stato è obbligato a raggiungere dal 2019. Tra le cause del ritardo, secondo Ambrosetti, errori nella differenziata, carenza di centri di raccolta e scarsa incisività delle campagne di comunicazione al cittadino. Ma anche e soprattutto la concorrenza sleale dei canali paralleli del trattamento non ottimale e del traffico illecito, che secondo lo studio sottraggono al sistema ufficiale fino al 70% dei Raee generati ogni anno. E che a differenza del sistema ufficiale non soffrono il peso della burocrazia, che invece porta fino a 4,3 anni i tempi medi per la realizzazione di un regolare impianto di trattamento. Secondo Ambrosetti, al tasso di crescita attuale, entro il 2025 l’Italia rischia di accumulare un gap di trattamento di oltre 280mila tonnellate di Raee, che a sua volta si tradurrebbe nella perdita di 15mila 600 tonnellate di materie prime critiche.
Secondo lo studio, allineandosi al target UE del 65% di riciclo l’Italia potrebbe recuperare 5mila 500 tonnellate aggiuntive di CRM, pari all’8% di quanto importato dalla Cina nel 2021, mentre raggiungendo le performance dei migliori Paesi UE (come la Svezia, con i suoi 15,1 kg pro capite) le tonnellate recuperate salirebbero addirittura a 7mila 600, ovvero l’11% dell’import da Pechino. Il tutto con notevoli benefici anche sul piano ambientale e sociale, che nello scenario di allineamento al target UE Ambrosetti calcola in 765mila tonnellate di CO2 non emessa e minori costi sociali per poco meno di 150 milioni di euro, mentre nello scenario ‘best performer’ la CO2 evitata sarebbe addirittura pari a 1,1 milioni di tonnellate con risparmi per più di 207 milioni. Benefici economici che andrebbero naturalmente a sommarsi ai minori costi sostenuti per l’importazione dall’estero. Dai 5,2 miliardi di euro del 2021, a fronte di 2,9 milioni di tonnellate importate, si taglierebbero 9,9 milioni nel caso di allineamento al target UE e 13,7 milioni nel caso di allineamento alle migliori performance. Una boccata d’ossigeno, per un sistema produttivo già stremato dalla rincorsa delle quotazioni dei principali feedstock e dall’impennata dei prezzi dell’energia. Ma soprattutto una leva per ridurre la dipendenza da catene di fornitura concentrate nelle mani di pochi, e sempre meno affidabili, attori. “Viviamo tempi drammaticamente imprevedibili – ha spiegato Tavazzi – rispetto ai quali dinamiche consolidate non valgono più. La capacità di dare risposta a queste criticità in tempi brevi può fare la differenza per lo sviluppo del nostro Paese”.