Raee, il dl ambiente rischia di essere un’occasione sprecata

di Luigi Palumbo 14/10/2024

Solo il 22% dei rifiuti tecnologici generati a livello globale è avviato a corretto trattamento. Raccolta in affanno anche in Italia, dove scarsa consapevolezza e gestioni parallele drenano raee agli operatori del sistema ufficiale. Che per questo chiedono interventi concreti. Ma dopo il flop del decreto materie prime critiche, ora anche il dl ambiente rischia di essere un’occasione sprecata


Aumentare il tasso di intercettazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso che restano a prendere polvere nei cassetti o in cantina. Vecchi cellulari, cavi, chiavi USB, lettori di schede, console di gioco e altri dispositivi dei quali sono ancora in molti a non conoscere le corrette modalità di conferimento. E dei quali, magari, alla fine ci si libera gettandoli nel cassonetto o nel sacco nero dell’indifferenziato, sottraendo così materiale prezioso alle filiere del riciclo. È l’obiettivo della quattordicesima edizione dell’International E-Waste Day, l’evento di sensibilizzazione promosso dal WEEE Forum per evidenziare l’importanza della gestione formale e responsabile dei rifiuti elettronici. Una miniera di risorse preziose, inclusi i metalli critici e strategici indispensabili per la transizione ecologica e digitale, che però non sfruttiamo quanto potremmo. Anche perché ancora stentiamo a comprenderne il valore. Stando all’ultimo Global E-waste Monitor, rapporto curato dall’istituto di ricerca delle Nazioni Unite UNITAR, nel 2022 abbiamo avviato a recupero solo il 22,3% dei 62 milioni di tonnellate di raee generati a livello globale.

Un flusso che, complice il progresso tecnologico e l’aumento dei consumi, cresce a un ritmo cinque volte superiore a quello della raccolta e che, secondo UNITAR, nel 2030 raggiungerà gli 82 milioni di tonnellate. Senza un cambio di passo, entro la stessa data riusciremo a intercettare appena il 20% dei raee generati. Una potenziale minaccia per l’ambiente e la salute, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma anche “milioni di dollari di risorse strategicamente preziose sprecate”, avverte UNITAR, secondo cui se si riuscisse a raccogliere e riciclare almeno il 60% della marea di raee generati nel mondo, i benefici economici – anche attraverso la minimizzazione dei rischi per la salute umana – supererebbero i costi di oltre 38 miliardi di dollari. Inclusi, naturalmente, i minori costi sostenuti per l’approvvigionamento di materie critiche e strategiche – a partire dalle ‘terre rare’ – controllate dal pugno di paesi, Cina in testa, che al momento ne detiene il monopolio.

L’appello a moltiplicare gli sforzi lanciato da UNITAR, e amplificato dal WEEE Forum nella giornata internazionale dei raee, chiama in causa anche il sistema italiano, da tempo alle prese con un’emorragia di raee. Secondo quanto rilevato dal Centro di Coordinamento Raee nell’ultimo rapporto annuale sulla gestione, infatti, il tasso di ritorno calcolato rapportando la raccolta con l’immesso a consumo medio nei tre anni precedenti è passato dal 34,01% del 2022 al 30,24 nel 2023. Oltre trenta punti in meno rispetto al target del 65% chiesto dall’Ue, che per questo nelle scorse settimane ha aperto ai danni dell’Italia (e di buona parte dei paesi dell’Unione) una procedura d’infrazione. Un’emorragia che ha almeno in parte le sue cause nella scarsa consapevolezza dei cittadini sottolineata quest’anno dal WEEE Forum. “Dalle rilevazioni effettuate dalle società di raccolta rifiuti sappiamo che una quota rilevante di apparecchiature, soprattutto le più piccole, viene collocata dai cittadini nella raccolta indifferenziata – spiega Fabrizio Longoni, direttore generale del CdC Raee – e la cosa ha come effetti da un lato il mancato incremento delle percentuali di raccolta raee e, dall’altro, la dispersione dei materiali che non vengono recuperati e reimmessi, come si dovrebbe, nel ciclo produttivo”.

La voragine di oltre trenta punti tra il tasso di raccolta italiano e l’obiettivo Ue, tuttavia, non può essere riempita solo intercettando gli smartphone o i caricabatterie che oggi vanno dispersi. Perché nel buco nero dei raee finiscono anche, e forse soprattutto, quelli che sfuggono al sistema ufficiale per prendere altre strade, spesso quelle dei trattamenti non ottimali nella filiera del rottame metallico. “Questo purtroppo avviene, per quantitativi ingenti, non per colpa dei cittadini o dei consumatori – chiarisce Longoni – ma perché, a seguito di un corretto conferimento ai soggetti che dovrebbero gestirli correttamente, c’è una sottrazione dei raee, che vengono poi indirizzati verso canali non corretti. Purtroppo – aggiunge – registriamo queste condotte sia da parte di alcuni comuni, quindi con i raee conferiti dai cittadini ai centri di raccolta, che da parte delle aziende della distribuzione, quindi in questo caso con le apparecchiature consegnate dai consumatori”. A partire dai raee ritirati in sostituzione di prodotti equivalenti. “Sono due fenomeni che – spiega Longoni – tengono l’Italia lontana dagli obiettivi europei. I quantitativi sottratti non vengono rendicontati in maniera corretta, e in più non consentono agli impianti di trattamento specializzati di avere raee da lavorare per recuperarne correttamente le risorse. È un grande elemento di criticità, che credo sia arrivato il momento di affrontare in maniera seria“.

Gli appelli degli attori del sistema ufficiale, che da tempo chiedono alla politica di rafforzare il quadro normativo di riferimento e tappare così le falle della raccolta, sono fin qui tuttavia caduti nel nulla. Talvolta in maniera eclatante, come nel caso del decreto legge sull’approvvigionamento di materie prime critiche, che ha quasi completamente ignorato il tema. Secondo l’Ue entro il 2030 il 25% delle materie strategiche utilizzate dall’industria europea dovrà provenire dal riciclo, ma il provvedimento licenziato dal governo ha previsto solo un accorciamento dei tempi per l’autorizzazione degli impianti, mentre in fase di conversione è stato chiesto il ritiro degli emendamenti di maggioranza che, su impulso del Ministero dell’Ambiente, puntavano a dare risposta – almeno in parte – alle richieste del sistema nazionale. Secondo gli operatori, infatti, in assenza di tassi di raccolta elevati, e quindi di flussi costanti e crescenti di raee in ingresso negli impianti, non sarà possibile garantire le economie di scala necessarie a sostenere gli investimenti in tecnologie di recupero avanzate. Quelle che servono a tirare fuori dai rifiuti tecnologici minerali critici e strategici come cobalto, litio e terre rare.

Un vero e proprio autosabotaggio, quello del dl sulle materie critiche – per di più messo in atto proprio nei giorni in cui dall’Ue arrivava la lettera di messa in mora per l’insufficiente raccolta – al quale il governo ha provato a porre rimedio con il decreto ambiente, approvato nei giorni scorsi in Consiglio dei Ministri. Nel testo, stando alle ultime bozze disponibili, si prevede un irrigidimento dei controlli sulla vendita di elettronica online, per contrastare i fenomeni di evasione dell’eco contributo che gravano sui conti del sistema ufficiale. Anche in questo caso, tuttavia, gli interventi proposti, per quanto necessari, non sembrano commisurati alle proporzioni del problema. “Alla luce della procedura d’infrazione – osserva Longoni – rischia di essere un’occasione persa la scelta di non inserire nel dl ambiente altre misure dedicate non all’immissione dei prodotti sul mercato ma alla gestione dei rifiuti, a partire dalla loro identificazione e tracciabilità. Sarebbe strettamente necessario prendere in considerazione alcune semplificazioni della normativa e alcune agevolazioni sui controlli lungo la filiera – dice – altrimenti rimane quanto meno utopico provare a colmare quel gap che ci separa dagli obiettivi europei e per il quale siamo stati messi in procedura d’infrazione”. Ora l’attesa è per il passaggio alle camere per la conversione in legge. Anche se, come insegna il caso surreale del decreto sulle materie prime critiche, nella lotteria degli emendamenti non esistono giocate sicure.

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