Sono più di 800mila le tonnellate di polimeri prodotti dal riciclo meccanico di rifiuti in plastica nel 2021. Un settore in crescita, ma senza investimenti in raccolta e selezione e misure di stimolo della domanda, avverte un report di Plastic Consult per Assorimap, sarà difficile per l’Italia centrare gli sfidanti obiettivi europei di circolarità
Dopo la battuta d’arresto subita nell’anno più buio della pandemia il riciclo meccanico delle plastiche ha ritrovato slancio e, con oltre 800mila tonnellate di polimeri riciclati prodotti a partire da scarti post-consumo, nel 2021 ha fatto segnare un +17% sull’anno precedente. I dati del primo rapporto redatto da Plasticonsult per Assorimap certificano la ripresa del trend che negli ultimi anni aveva visto il settore consolidare le proprie performance di circolarità. Un trend interrottosi solo temporaneamente nel 2020, quando lockdown e fermi delle attività produttive avevano determinato il crollo della domanda di polimeri riciclati, e ripreso con vigore lo scorso anno, spinto dalla crescente frequenza di iniziative di economia circolare nei settori di sbocco, su tutti imballaggi ed edilizia, ma anche dall’aumento dei prezzi dei polimeri vergini legato alle dinamiche di mercato che hanno caratterizzato (e caratterizzano tuttora) la ripartenza post-covid. Un autentico ‘rally’ di volumi e quotazioni che si è tradotto in termini di fatturato in un balzo di oltre il 66% che ha portato il settore a sfiorare il miliardo di euro, passando dai 577 milioni del 2020 ai 962 del 2021.
“In questa congiuntura così delicata – spiega il presidente di Assorimap Walter Regis – il riciclo meccanico della plastica si configura come strumento fondamentale per ridurre il consumo di materie prime e promuovere uno sviluppo più sostenibile. Per questo – aggiunge Regis – bisogna porre il recupero delle materie al centro della transizione ecologica e rifuggire da visioni massimaliste che invocano un mondo plastic free nell’immediato”.
Quello degli imballaggi si conferma al tempo stesso il principale settore di provenienza degli scarti post consumo riciclati (il 70% proviene dalla raccolta urbana del packaging) e il principale ambito d’applicazione di polimeri e compound da riciclo (poco meno del 40%), seguito dai sacchi e altre applicazioni flessibili (19%), dai tubi (11%) e dall’edilizia (10%). La suddivisione delle 800mila tonnellate per polimero vede la preminenza dei polietileni (50% nel complesso, con quota maggioritaria di fessibile), cui segue il PET con un quarto del totale, polipropilene e misti poliolefnici intorno al 10%. Chiudono gli altri polimeri, principalmente PS, EPS, PVC e poliammidi, il cui aggregato si attesta al 5% circa.
Volano le quotazioni del R-PET, con circa 190mila tonnellate di polimero riciclato prodotte e un fatturato che nel 2021 ha toccato quota 210 milioni di euro, in aumento del 56% circa sul 2020. Il R-PET, si legge, è di fatto il solo polimero da riciclo, insieme all’HDPE, la cui quotazione si stia sganciando da quella del polimero vergine. Un ‘decoupling’ innescato anche dall’evoluzione del quadro normativo, che nei prossimi anni spingerà sempre di più la domanda di mercato di materia prima seconda. La direttiva SUP, in vigore da gennaio di quest’anno, prevede l’obbligo del 77% di raccolta differenziata dei contenitori per liquidi entro il 2025, ma soprattutto l’impiego, entro lo stesso anno, di almeno il 25% di R-PET per la produzione di nuove bottiglie (il cosiddetto ‘bottle to bottle’), passando al 30% al 2030. Cosa che, spiega Plastic Consult, in Italia significherà raccogliere e avviare a riciclo non meno di altre 120mila tonnellate l’anno di bottiglie. Insomma serve spingere su raccolta differenziata, selezione e avvio a riciclo. Anche perché, avverte Plastic Consult, i volumi di scarti post consumo attualmente disponibili sul mercato non consentono di tenere il passo degli sfidanti obiettivi di riciclo degli imballaggi in plastica introdotti dal pacchetto europeo di misure sull’economia circolare, 50% al 2025 e 55% al 2030.
“In assenza di ulteriori e costanti investimenti da parte di tutta la fliera (in particolare ai livelli della raccolta e della selezione) difficilmente potranno essere raggiunti gli obiettivi europei pure con il massimo sforzo da parte dei riciclatori meccanici”, spiega il rapporto. L’Italia, con il suo 48% circa di riciclo non è troppo lontana dal target, ma l’introduzione del nuovo metodo di calcolo unificato a livello europeo, più rigido rispetto a quello adottato fin qui dall’Italia, potrebbe farci perdere fino a dieci punti percentuali. E con loro decine di milioni di euro, visto che dal 2021 è in vigore la tassa europea sulla plastica, nata per finanziare il programma Next Generation EU, che costa a ogni Stato 800 euro per tonnellata di imballaggi non riciclati e che all’Italia, stando all’ultima legge di bilancio, costerà nel 2022 circa 850 milioni. Un motivo in più per ridurre le quantità avviate a smaltimento e aumentare quelle avviate a riciclo. Serve il pieno supporto di tutti gli operatori della filiera, avverte dunque Plastic Consult. La natura sfidante dei target impone ad esempio un’accelerazione sul fronte della raccolta, selezione e avvio a riciclo delle frazioni minori di imballaggio, a partire dalle plastiche miste o dal packaging in polistirene, due flussi che nel 2021 hanno dato segnali incoraggianti, facendo registrare rispettivamente un +20% e addirittura un +70% di polimeri riciclati in output, trainati da una domanda estremamente tonica nel settore dell’edilizia e delle costruzioni.
Senza dimenticare che anche gli operatori del riciclo stanno pagando a caro prezzo l’aumento dei costi energetici, solo parzialmente compensato dalla corsa delle quotazioni di mercato dei polimeri riciclati. E anche quest’ultimo fenomeno, avverte Plastic Consult, a lungo andare rischia di generare conseguenze deteriori per il settore. “Una parte dei settori applicativi di sbocco – si legge – difficilmente potrà sostenere a lungo l’impatto dell’aumento delle quotazioni dei riciclati post-consumo e potrebbe anche nel breve termine ritornare, quanto meno in parte, ad adottare maggiori quantitativi di polimeri vergini”. Tanto più alla luce del fatto che, come spiega il rapporto, “il rischio mercato legato all’andamento delle quotazioni del vergine è ad oggi ridotto unicamente per alcuni segmenti (CPL PET e HDPE), mentre la maggior parte dei settori applicativi aggancia ancora il prezzo dei riciclati a quello del vergine”. L’appello è a introdurre nuove misure di ‘decoupling‘. “Come segnalato da diverse aziende nel corso delle nostre rilevazioni, una normativa a livello nazionale che prescriva quantitativi minimi di riciclati (come ad es. per le bottiglie PET nella SUP, o come per i CAM nazionali) farebbe da volano per una crescita armonica del settore” commenta Paolo Arcelli, direttore di Plastic Consult.
Ma serve anche aumentare le quantità di scarti in ingresso negli impianti. “Abbiamo calcolato un potenziale di 5 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica che potrebbero essere ulteriormente recuperati – ha spiegato Valeria Frittelloni, direttore dell’ufficio rifiuti di Ispra – dall’urbano indifferenziato ma anche da filiere come quelle dei veicoli a fine vita o dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, a loro volta soggette a target vincolanti. L’industria è pronta a riciclarle, dobbiamo mettere in campo soluzioni che rendano più efficaci le attività di raccolta e selezione”. “La via è la responsabilità estesa dei produttori” spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, rafforzandola dove c’è già e introducendola in settori che non siano ancora coperti, come prodotti per la casa e automotive.