Cresce l’avvio a riciclo degli imballaggi in plastica, con benefici per l’ambiente ma anche per il bilancio energetico del sistema paese. Secondo Corepla nel 2021 il recupero di materia ha garantito un risparmio di energia pari al 2,5% della produzione primaria nazionale. Ma il CSS finisce per il 39% all’estero
Lo scorso anno il riciclo degli imballaggi in plastica da raccolta differenziata ha fatto risparmiare una quantità di energia pari a oltre il 2% della produzione primaria nazionale. È un contributo in linea con le sfide del presente, a partire dalla riduzione dei consumi energetici, quello garantito dall’attività del consorzio Corepla, che stando ai numeri dell’ultimo rapporto di sostenibilità nel 2021 ha avviato a recupero di materia 722mila 218 tonnellate di rifiuti di imballaggi in plastica, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente che conferma la piena ripresa della filiera dopo la frenata imposta dall’emergenza pandemica. Una filiera che conta oltre 2mila 300 imprese produttrici, quasi mille aziende di raccolta rifiuti e 93 impianti di riciclo, capaci di trasformare il packaging a fine vita in una quantità di materia prima secondaria tale da sostituire 520mila tonnellate di polimeri da petrolio vergine, con un risparmio in termini di emissioni di 879mila tonnellate equivalenti di CO2 e un taglio ai consumi di energia di quasi 11mila GWh, pari al 2,5% della produzione annua di energia primaria in Italia. Riciclare, dicono i numeri, aiuta la decarbonizzazione e anche il bilancio energetico nazionale.
“Un risultato di cui siamo molto soddisfatti – ha dichiarato il presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo – frutto di un continuo orientamento dello stesso alla diversificazione produttiva, al miglioramento della partnership con i riciclatori, al potenziamento del mercato intra-europeo, alla ricerca di nuovi clienti su mercati finora inesplorati e allo sviluppo di modelli innovativi di riciclo”. Ma il conto dei benefici energetici dell’attività di Corepla non finisce con il riciclo. Su un totale di oltre 1 milione di imballaggi a fine vita gestiti direttamente dal consorzio, infatti, quasi 315mila tonnellate sono state avviate a recupero di energia in termovalorizzatori (14%) o trasformate in CSS e utilizzate in sostituzione di combustibili fossili nei cementifici, per il 47% in Italia e per il 39% all’estero. “Si tratta – spiega il consorzio – del cosiddetto ‘plasmix’, imballaggi derivanti dalla selezione meccanica della raccolta differenziata che per via della loro eterogeneità e delle condizioni in cui si presentano non risultano riciclabili con le tecnologie ad oggi disponibili”. L’avvio a recupero energetico del plasmix, si legge nel rapporto, ha garantito la produzione di 42GWh di energia elettrica e di 86GWh di calore. Pari al consumo di gas naturale di 5mila 823 famiglie. Insomma, oltre a garantire il taglio delle emissioni climalteranti e dei conferimenti in discarica (quasi 35 milioni di metri cubi risparmiati, in termini di volume), tra riciclo e recupero la corretta gestione degli imballaggi in plastica dimostra di poter dare un contributo sostanziale anche alla definizione di un nuovo paradigma energetico nazionale.
Se il riciclo cresce, il potenziale energetico dei rifiuti da imballaggio in plastica non riciclabili, invece, è ancora lontano dall’essere pienamente sfruttato. Il combustibile solido secondario (CSS) prodotto dalle quote di plasmix gestite da Corepla finisce per quasi il 40% all’estero, in almeno 12 Paesi diversi dentro e fuori dall’UE, quando invece “potrebbe essere utilizzato da subito in alternativa ai combustibili fossili tradizionali sia nei cementifici che nelle centrali termoelettriche”, afferma Quagliuolo. Con un ritorno in termini economici, per il taglio dei costi d’importazione di combustibili come carbone o pet coke, ma anche ambientali. Secondo recenti studi, sostituendo una tonnellata di carbone con una di CSS si ottiene una riduzione della CO2 emessa compresa tra 584 e 1289 kg. Eppure al momento nessuna delle centrali a carbone tornate in grande spolvero per effetto della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina risulta utilizzare CSS. E sul fronte dell’industria cementiera le cose non vanno poi tanto meglio. “In Italia – conferma Quagliuolo – il tasso di sostituzione calorica complessivo del comparto cementifero non supera il 20,9%, un dato molto lontano dalla media europea del 50%. Senza contare – dice – che in altri Paesi, come nella vicina Austria, il tasso di sostituzione calorica supera l’80%”. In più, va registrata la riduzione delle quote avviate a recupero energetico nei termovalorizzatori nazionali, passata dal 25% del 2020 al 14% del 2021, “per lasciare spazio ai rifiuti solidi urbani (RSU) provenienti dalle Regioni in emergenza” spiega Corepla, ma anche a causa di “un’evidente mancanza di capacità installata rispetto alla richiesta di termovalorizzazione nazionale”.