La domanda stagnante e la concorrenza dei polimeri vergini e riciclati d’importazione fa crollare i fatturati dei riciclatori italiani di plastica: -31% nel confronto con il 2022, che era già stato segnato dallo shock energetico. I numeri, allarmanti, dell’ultimo rapporto Assorimap. L’appello delle imprese: servono obblighi di tracciabilità e ‘Certificati del Riciclo’
Livelli della produzione in stagnazione e fatturati in crollo verticale per le imprese nazionali del riciclo della plastica. Che perdono competitività nel confronto, sempre più ad armi impari, con polimeri vergini e riciclati d’importazione. Dopo un 2022 segnato dai colpi durissimi dello shock energetico, un 2023 da incubo per le 355 aziende di filiera (dalla raccolta alla selezione, al riciclo) ma soprattutto per i 75 operatori del riciclo meccanico delle plastiche post consumo, che lo scorso anno hanno immesso a mercato circa 784mila tonnellate di granuli riciclati, in calo dello 0,2% sul 2022 (quando la contrazione sull’anno precedente era stata dell’1,5%). Se la produzione ristagna di pari passo con la domanda, i livelli di fatturato, invece, si sono contratti addirittura del 31%, fino a scendere a quota 780 milioni di euro. Numeri preoccupanti, quelli rilevati da Plastic Consult nell’ultimo report annuale dell’associazione nazionale Assorimap, presentato oggi a Roma. “Un anno di grande crisi – riconosce il presidente di Assorimap Walter Regis – che non lascia indifferenti le nostre imprese e che tocca un comparto importante del made in Italy. Negli ultimi 25 anni la politica è stata lontana dal settore e ora ne paghiamo le conseguenze”.
Un grido d’allarme, con la richiesta di interventi urgenti per restituire competitività a un comparto chiave nelle strategie nazionali ed europee di circolarità, ma schiacciato da una congiuntura di mercato che minaccia attività e investimenti. Tra le cause principali del collasso dei fatturati “la forte contrazione dei prezzi di vendita dei polimeri riciclati – spiega Paolo Arcelli di Plastic Consult – che si è resa necessaria per mantenere la competitività economica nei confronti dei polimeri vergini”. A partire da quelli di provenienza extra europea: da far east e nord Africa, ma anche dagli USA. Se da un lato il mercato è schiacciato dalla concorrenza dei polimeri da petrolio vergine, dall’altro a spingere i i prezzi verso valori minimi ci pensano i flussi di polimeri riciclati (in particolare per R-PET e R-HDPE) provenienti soprattutto da Cina e India, imessi sul mercato Ue in assenza di informazioni sulla tracciabilità o sul reale contenuto di riciclato e “a prezzi non raggiungibili dai produttori nazionali”, chiarisce Arcelli.
Un fenomeno, quello delle importazioni di polimeri riciclati a buon mercato, che sta mettendo a rischio la tenuta del riciclo in tutta Europa e che in fase di negoziato sul nuovo regolamento imballaggi i legislatori europei hanno puntato a contrastare con l’inserimento di una clausola che vincola i nuovi obblighi di contenuto minimo riciclato nel packaging in plastica al 2030 (come il 35% per imballaggi non in PET) all’utilizzo di polimeri che rispettino standard di qualità e sostenibilità in linea con quelli europei. Una clausola di salvaguardia, pensata per evitare che una misura traino da sempre invocata dai riciclatori europei, quella degli obblighi di contenuto minimo, si possa tradurre in un acceleratore delle importazioni di polimeri secondari a buon mercato, non tracciati, provenienti soprattutto dai paesi asiatici.
Proprio gli obiettivi di contenuto minimo di riciclato negli imballaggi previsti dal regolamento imballaggi e dalla direttiva SUP, spiega Plastic Consult, si confermano del resto i principali fattori di crescita per il settore, ma “occorre premunirsi con strumenti che esistono – chiarisce Regis – come sistemi di tracciabilità e certificazione per far sì che anche a fronte dei nuovi obiettivi dell’Ue quello che entra sul mercato sia un riciclato di fonte garantita e impedire flussi poco trasparenti”. Per rilanciare l’industria nazionale del riciclo, chiarisce tuttavia Assorimap, servono anche strumenti di supporto e incentivazione che aiutino gli operatori a fronteggiare la volatilità del mercato delle materie prime seconde e a colmare il gap di competitività con i polimeri vergini “riconoscendo il valore ambientale del riciclato in ottica di decarbonizzazione”, spiega Regis. “Abbiamo bisogno di misure sistemiche che possano premiare un’eccellenza dell’economia circolare italiana”, aggiunge Corrado Dentis, amministratore delegato di Dentis Recycling Italy.
La proposta è quella di istituire ‘Certificati del riciclo’ sul modello dei ‘Certificati Bianchi’ per l’efficienza energetica. “La sostituzione di materia da riciclo ha un contenuto di riduzione delle emissioni climalteranti e, implicitamente, anche di efficientamento energetico – spiega Donato Berardi, direttore di Ref Ricerche – si tratta di riconoscere questo beneficio, valorizzandolo con uno strumento negoziabile che certifichi che per ogni tonnellata da riciclo sia garantito un risparmio in termini di emissioni o energia”. A seconda del polimero considerato, secondo Ref la sostituzione di una tonnellata di plastica vergine con una quantità equivalente di riciclato garantisce una riduzione della CO2 equivalente compresa tra 1,1 e 3,6 tonnellate. Una leva di decarbonizzazione, che i riciclatori chiedono di tradurre in valore economico da restituire al comparto. “Una proposta puntualissima – aggiunge Regis – visto che il governo è ancora al lavoro sul PNIEC. È l’occasione giusta per riconoscere il valore ambientale ed energetico della plastica riciclata. Non in maniera fine a se stessa, ma con un contributo economico che possa dare ristoro a un’attività economica in grande crisi”.