Ben 340mila tonnellate di pneumatici fuori uso raccolte e avviate a recupero ogni anno, il 55% delle quali trova la strada dei cementifici per il recupero energetico, mentre il restante 45% viene trasformato in materia prima seconda divenendo per il 76,3%, granulato di gomma, il 23,5% acciaio e lo 0,2% fibra tessile. Un settore insomma, quello degli pfu che obbedendo agli standard europei gioca un ruolo fondamentale nell’ambito della circular economy, e se da un lato la revisione del Decreto Ministeriale 82/2011 in corso incoraggia ulteriori investimenti, dall’altra getta ombra sul futuro della filiera il tavolo tecnico sull’end of waste che ha assunto un approccio eccessivamente cauto nei confronti della categoria, tendendo a privilegiare la trasformazione delle gomme giunte a fine vita, in energia più che in MPS (materia prima seconda).
Proprio sulle perplessità della categoria è stato incentrato il convegno svoltosi a Roma, dal titolo: “La gestione degli pneumatici fuori uso tra presente e futuro”, organizzato da Unirigom (Unione dei recuperatori della Gomma) in collaborazione con Fise Unire, l’associazione dei recuperatori. I risultati finora raggiunti inorgogliscono l’intera filiera che però, alla luce delle revisioni normative in corso, si sente innanzi ad un bivio. Controcorrente rispetto a quanto dimostrano studi di settore, si potrebbe decidere di ridurre drasticamente il recupero di granulo da Pfu restringendo i mercati di interesse a tutto vantaggio di una produzione prevalentemente energetica.
Un’ipotesi che genera allarmismi tra quanti fino ad oggi hanno investito nei loro impianti per il trattamento dei pfu, per provare ad allargare le maglie di un mercato ancora troppo scettico rispetto alla qualità del riciclato e che ad oggi, viene esclusivamente utilizzato per l’intaso di campi con erba sintetica e i fondi per piste di atletica o tappeti antitrauma per aree gioco. Si aprono dunque scenari poco incoraggianti per il comparto dei pfu che vedrebbe vanificare anni di investimenti e si vedrebbe costretto a ridimensionare la quota occupazionale del momento. A trarne vantaggio sarebbero solo gli impianti che ricavano energia, impianti prevalentemente esteri essendo ancora l’Italia impreparata a questo tipo di recupero.
«La nostra Associazione – dichiara il Presidente UNIRIGOM, Andrea Fluttero – sta monitorando con attenzione gli sviluppi di questa normativa cercando di scongiurare quello che sarebbe non solo un colpo durissimo per gli imprenditori del nostro settore, ma che rappresenterebbe una perdita di credibilità clamorosa per la stessa scelta politica dell’Economia Circolare, che privilegia il recupero di materia rispetto a quello di energia». Il confronto con la politica, è appena cominciato.