Oggi a Bruxelles la Commissione Europea ha presentato ai Paesi Membri una raccomandazione riguardante l’applicazione dell’Articolo 103 del Trattato Euratom con il quale l’Unione si propone di regolamentare gli accordi con le terze parti in materia di nucleare. Questo processo di efficientamento e chiarificazione punta, tra le altre cose, a fissare gli standard per il recepimento anche delle nuove direttive sulla sicurezza, comprese quelle in materia di gestione del combustibile esausto delle centrali e in generale dei rifiuti radioattivi. Una questione che in Italia conosciamo bene, perché le nostre centrali inattive attendono di completare lo smantellamento e il decomissioning definitivo di quei siti: fase che non può partire senza la realizzazione del deposito nazionale delle scorie, per ora fermo agli annunci. Senza contare che i rifiuti radioattivi “senza casa” sono anche quelli ospedalieri e farmaceutici, tanto per fare un esempio: soltanto in Italia la questione riguarda 90mila metri cubi di scorie. Il problema insomma è vasto, e non è un caso che la Commissione Europea se ne occupi. La raccomandazione di oggi discende dall’implementazione del “Nucleare Illustrative Programme” (PINC), a sua volta previsto dall’Articolo 4o della direttiva Euratom, e punta a presentare informazioni ed elaborazioni basate sulle statistiche più aggiornate possibili e disponibili in materia. Statistiche che non si riferiscono unicamente agli impianti, ma anche alle risorse finanziarie da dedicare al decommissioning, ed è su questo punto che l’Italia si fa notare – ancora una volta in negativo – sul palcoscenico europeo.
Per la prima volta i governi hanno fornito alla Commissione i dati sull’attuazione della direttiva per la sicurezza Nucleare, che chiedeva la predisposizione di piani nazionale di gestione. Sulla base delle informazioni l’esecutivo comunitario è giunto alla conclusione che almeno 253 miliardi di euro si renderanno necessari per eliminare le centrali spente e i rifiuti da nucleari: è quanto si legge dal dato cumulativo del rapporto stilato dalla Commissione, diviso in 130 miliardi per la gestione delle scorie e 123 per lo smantellamento delle centrali non operative. Ma tra questi governi non c’è quello Italiano. Il report dettagliato della Commissione, infatti, fa le pulci a costi e tempi di realizzazione e smantellamento di quasi ogni singolo impianto sul territorio dell’Unione, e l’Italia spicca nelle tabelle per essere l’unico paese (insieme all’Olanda, a dire il vero) in cui alla voce dei costi stimati per il decommissioning si legge “not available”.
Lo stesso vale per i costi di gestione dei rifiuti, anch’essi “non disponibili” per Italia e Paesi Bassi, che per la breve storia di produzione energetica di entrambi i Paesi (4 gli impianti italiani, 2 gli olandesi) saranno con ogni probabilità statisticamente altissimi rispetto all’energia prodotta. Ciò che, però, pesa di più per la Commissione è l’impossibilità di valutare la sostenibilità economica del nostro programma di smantellamento e smaltimento. In altre parole, non ci sono basi concrete per fidarsi di noi. Il ritardo nostrano è quasi certamente ascrivibile alla mancata adozione del programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi, che avremmo dovuto adottare entro il 31 dicembre 2014 ed inviare a Bruxelles entro il 23 agosto 2015 corredato della Valutazione ambientale strategica. Su questo fronte forse si sta cercando di correre ai ripari: proprio la scorsa settimana il Sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani ha comunicato che in data 18 febbraio 2016 il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dello Sviluppo Economico hanno trasmesso uno schema di Programma nazionale al Dipartimento per le politiche europee per il successivo inoltro alla Commissione.
In Europa solo 3 reattori spenti su 89 sono stati smantellati, ma in questa pur complessa e delicata storia i nostri 4 probabilmente non saranno i primi ad aggiungersi alla finora breve lista.