Secondo uno studio di Ambrosetti per Erion il 38% del PIL italiano dipende oggi dall’importazione di materie prime critiche dall’estero. Se raggiungessimo i target obbligatori dell’Ue sulla raccolta dei raee potremmo però tagliare di un quarto le forniture dalla Cina. Ma servono meno burocrazia, più impianti e controlli rigidi sulle gestioni non a norma
Nel prossimo futuro il riciclo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine vita potrebbe aiutare l’Italia a tagliare l’importazione di Materie Prime Critiche dall’estero per una quantità pari a un quarto di quella attualmente importata dalla Cina. Contribuendo così a mettere in sicurezza, almeno in parte, catene di fornitura che oggi dipendono per la quasi totalità da un pugno di paesi terzi. Un mercato caratterizzato da elevata concentrazione, con l’asse sino-russo che si va rafforzando e un’ombra di incertezza ad allungarsi sulle supply chain. A rischio ci sono circa 686 miliardi di euro di produzione industriale, pari al 38% del PIL. A tanto ammonta, secondo uno studio di Ambrosetti per Erion, il valore della produzione industriale nazionale sostenuta da Materie Prime Critiche. Con un aumento del 35% nell’ultimo decennio e del 22% solo su base annua, “ad indicarne la crescente importanza economica nei principali ecosistemi manifatturieri del nostro Paese”, scrive l’istituto.
Delle 34 materie censite dall’Unione europea nel suo Critical Raw Materials Act, che lo scorso marzo ha ampliato la lista degli elementi sensibili per l’industria europea – introducendo tra l’altro la definizione di ‘Materia Prima Strategica’ e nuovi obiettivi vincolanti – ben 29 sono indispensabili per l’industria energetica, 24 per l’elettronica, 23 per l’automotive e 19 per il settore delle energie rinnovabili. In questo quadro, scrive Ambrosetti, le ‘Terre Rare’, presenti nei principali ecosistemi industriali, mostrano il più alto rischio di fornitura. A tenere in mano le redini geopolitiche del mercato è la Cina, che controlla il 65% delle forniture globali e che sul proprio territorio ospita un terzo dei nuovi giacimenti di ‘Terre Rare’. Ma a preoccupare è anche il crescente peso della Russia, che oggi è leader nella produzione di ben 13 delle materie prime classificate come critiche dalla Commissione europea. La dipendenza dei paesi dell’Ue dalle importazioni russe appare particolarmente accentuata per Vanadio (86%), Nichel (36%) e Palladio (28%), indispensabili per le industrie dell’automotive e dell’aerospazio. “La dipendenza, unita alla crescente domanda e alla rilevanza delle Materie Prime Critiche in tecnologie chiave, rende vulnerabili le catene del valore” spiega Lorenzo Tavazzi, Partner di The European House – Ambrosetti.
“In questo contesto di incertezza e dipendenza delle importazioni dall’estero, una leva strategica per ridurre il rischio di approvvigionamento può arrivare dal riciclo dei rifiuti correlati ai prodotti elettronici“, chiarisce Danilo Bonato, direttore generale di Erion Compliance Organisation. Cosa che, per l’Italia, significa fare i conti con una capacità di intercettazione che resta ancora lontana dagli obiettivi vincolanti fissati dall’Ue. A fronte del 65% richiesto dalla disciplina di settore, l’Italia – si legge nello studio – si ferma oggi al 37%. E il tasso di raccolta risulta “ancora più basso per i raee contenenti un maggiore quantitativo di CRM, quali le piccole apparecchiature elettroniche (cellulari, tablet, laptop, console) e i raee professionali”, scrive Ambrosetti. Eppure, calcola la società di consulenza, raggiungendo il tasso di raccolta europeo al 2030 si potrebbero intercettare 312mila tonnellate di raee domestici e professionali in più, che se trattati in impianti adeguati garantirebbero il recupero di circa 17mila tonnellate di Materie Prime Critiche, pari al 25% di quelle importate dalla Cina nel 2021.
Cinque, secondo Ambrosetti, i fronti sui quali agire. A partire dallo snellimento della burocrazia a carico delle imprese e del sistema dei controlli, semplificando l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali ma anche il rilascio delle autorizzazioni per modalità di raccolta innovative. Sempre in tema di raccolta servirebbe poi svilupparne e incrementarne la capillarità, moltiplicando i centri territoriali e promuovendo iniziative che coinvolgano anche scuole e attività commerciali. Sul fronte degli impianti serve incrementare la capacità di trattamento avanzata, andando ben oltre i fondi messi a disposizione del settore dal PNRR (che solo per il 10% del totale messo a disposizione del settore finanzieranno tecnologie di recupero avanzato). Per sbloccare gli investimenti, chiarisce però Ambrosetti, serve ridurre l’incertezza normativa e le tempistiche troppo lunghe per ottenere le necessarie autorizzazioni, ma anche creare condizioni di mercato attrattive, stimolando con misure di incentivazione e agevolazioni fiscali l’utilizzo di materie riciclate nelle nuove produzioni, oggi frenato anche da dinamiche di prezzo.
Ultimo ma non ultimo il fronte della consapevolezza: meno della metà degli italiani (44%) ritiene di averne sentito parlare di raee e due terzi (67%) conferma di averne in casa almeno uno da smaltire. Serve investire in campagne di comunicazione ad hoc, chiarisce lo studio, anche perché è proprio nelle pieghe della scarsa consapevolezza che si nasconde una delle principali insidie per il sistema nazionale: quella dei “flussi paralleli”, che “rappresenta ancora una grossa criticità”, scrive Ambrosetti. Anche lo scorso anno la concorrenza sleale delle lavorazioni informali ha sottratto apparecchiature a fine vita alla raccolta ufficiale, a vantaggio di trattamenti sommari finalizzati quasi esclusivamente al recupero dei metalli. “Erion si sta impegnando con determinazione per cambiare questa situazione – dice Bonato – anche attraverso investimenti ingenti in comunicazione e sensibilizzazione degli stakeholder, ma chiediamo un maggior supporto da parte delle Istituzioni per accelerare sul percorso virtuoso del riciclo dei rifiuti tecnologici”.