Sono 385mila le imprese italiane green (il 26,5% del totale), e quasi 3 milioni gli occupati nel settore (il 13,2% dell’occupazione complessiva). Chi ha investito negli ultimi anni nel recupero delle vecchie tradizioni del riciclo e del riuso, ha adottato l’antidoto giusto alla crisi sposando qualità e bellezza, e portando l’Italia tra i Paesi che meglio hanno saputo cogliere la sfida dell’economia circolare, lanciandola tra le grandi che si ritroveranno a Marrakesh per COP 22 e il futuro del Pianeta. Il settimo Rapporto Green Economy, presentato questa mattina a Roma da Unioncamere e Symbola, la Fondazione presieduta dal deputato e ambientalista italiano Ermete Realacci, scatta la fotografia di un’Italia sempre più green.
«I dati che emergono dimostrano che l’Italia, in Europa e nel mondo, sta dettando regole di bellezza, innovazione e sostenibilità – ha affermato nel corso della presentazione dei dati, Ermete Realacci che poi ha proseguito – le nostre imprese, investendo nei settori green, diventano sempre più competitive. Scommettono sul capitale umano, sull’uso efficiente delle risorse, si stanno aprendo la strada verso l’estero». In effetti, anche i dati sull’export guadagnano l’ottimismo dei mercati e degli investitori. Secondo il rapporto infatti nel solo manifatturiero, il 46% delle imprese che investono in risparmio energetico e nel contenimento di CO2 esporta, contro il 27% delle imprese che invece non hanno raccolto la sfida green. Nel solo 2015, il 35% delle imprese green ha aumentato il fatturato a fronte del 21,8% di quelle non green.
Nel complesso, chi ha investito in innovazioni tecnologiche e salvaguardia ambientale, ha contribuito al PIL del Paese nella misura del 13% con i suoi 190,5 miliardi di euro di fatturato. L’innovazione del settore passa anche attraverso la digitalizzazione. Non a caso le imprese green sono quelle che hanno investito maggiormente sulle digital skills. «4 imprese su 5 sono sul web e investono in tecnologia – spiega Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere – un fronte questo, sul quale le Camere di Commercio italiane sono particolarmente sensibili e impegnate». Questo rivoluzionario cambiamento emerso dal rapporto, assegna all’Italia un primato importante sul fronte ambientale. Secondo solo al Regno Unito, il Bel Paese è davanti a Francia, Spagna, Germania con 14,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro.
Italia seconda rispetto ai Britannici anche per il minor impiego di materia prima, siamo invece avanti a Francia, Spagna e Germania. Dietro la Francia, ma sempre avanti a Spagna, Regno Unito e Germania, per emissione di CO2. Addirittura primi per il contenimento dei rifiuti prodotti, primato che ci rende già leader nel procedimento di riciclo industriale. «Nel settore degli imballaggi – conferma poi Roberto De Santis, presidente del Conai – l‘Italia è il Paese che dal 1998 al 2013 ha recuperato più imballaggi in assoluto (+ 4,2 milioni di tonnellate)».
In ultimo, altro dato positivo, la conversione al green ha interessato tutto il Paese, da Nord a sud, senza distinzioni di sorta. La Lombardia continua ad essere leader per numero di imprese eco-investitrici, ma a livello provinciale tra le prime cinque città che contano imprese verdi, ci sono in ordine decrescente Roma, Milano, Torino, Napoli e Brescia, città che si posizionano anche nella top ten delle province a più alta intensità di richiesta di green jobs, dato che fa prevedere un incremento delle assunzioni nel settore, di qui alla fine dell’anno. Sono infatti previste 249mila nuove assunzioni fra green jobs in senso stretto e figure con competenze green. Un mercato che lancia a pieno titolo l’Italia al tavolo dei grandi interlocutori per la sfida sul clima. Grazie al ripensamento dell’Europa che seppure dopo Usa e Cina, ha ratificato gli accordi di Parigi per far valere il proprio patrimonio di sostenibilità e innovazione green, l’Italia si prepara a dire la sua alla COP 22 di Marrakech.