Terremoto sul fronte della regolazione: dopo le picconate di antitrust e TAR Emilia-Romagna, i giudici amministrativi della Lombardia stabiliscono l’annullamento del sistema di tariffe al cancello disegnato da Arera per gli impianti di gestione dei rifiuti
Il sistema degli ‘impianti minimi’ di gestione dei rifiuti urbani definito da ARERA potrebbe essere giunto al capolinea. Dopo i rilievi dell’antitrust e la sentenza del TAR Emilia-Romagna contro l’applicazione del meccanismo da parte della Regione, una sentenza del tribunale amministrativo della Lombardia ha infatti accolto la domanda di annullamento della deliberazione n. 363/2021 con la quale l’autorità di regolazione ha definito il sistema di ‘gate fee’ nell’ambito del secondo periodo regolatorio. Un pronunciamento pesantissimo, che a differenza di quello adottato nelle scorse settimane dai giudici del TAR dell’Emilia-Romagna, che si erano limitati a stigmatizzare l’illegittima applicazione del sistema, demolisce le fondamenta stesse del meccanismo. Chiarendo che, si legge nella sentenza, “non si rinviene alcuna disposizione legislativa che supporti la competenza di ARERA nell’individuazione di impianti di chiusura del ciclo ‘minimi’ tra gli impianti di trattamento della frazione organica, inceneritori con e senza recupero di energia e discariche presenti sul territorio”.
Il pronunciamento è scaturito dal ricorso del gestore di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi a Foggia, che l’AGER, Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti, aveva qualificato come ‘impianto minimo‘, ovvero indispensabile per la chiusura del ciclo regionale, ai sensi della delibera ARERA, sottraendolo quindi al libero mercato e assoggettandolo al sistema di flussi predefiniti e tariffe regolate. Ma, secondo i giudici, “l’applicazione di un regime regolatorio e tariffario come quello concernente gli ‘impianti minimi’ comporterebbe, in capo ai gestori degli impianti medesimi, la costituzione di obblighi particolarmente stringenti, contrari ai principi di libertà economica, di impresa, a quelli di correttezza e ragionevolezza dell’azione amministrativa e non supportata normativamente”. Con l’applicazione del sistema di tariffe al cancello, scrivono i giudici, impianti operanti in regime di libero mercato “qualificabili per mere contingenze come ‘indispensabili’ alla chiusura del ciclo dei rifiuti” vengono di fatto “‘annessi’ di imperio al servizio integrato”.
A differenza della sentenza del TAR Emilia-Romagna, che non aveva messo in discussione la delibera di ARERA ma solo la sua illegittima applicazione da parte della Regione, secondo il TAR della Lombardia invece “la disciplina introdotta da ARERA non solo non ha supporto nel dato normativo – si legge nella sentenza – ma si scontra con il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di rifiuti e in generale di ambiente all’interno della cornice costituzionale”. Secondo i giudici infatti la disciplina di ARERA, che coinvolge attivamente le regioni nell’individuazione degli ‘impianti minimi’, ha attribuito alle regioni stesse poteri che il legislatore non ha assegnato agli enti territoriali e ha “invaso l’ambito di competenza affidato allo Stato e in particolare al Ministero” in relazione al Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti. Era stata la stessa Autorità, ricordano del resto i giudici, ad auspicare, nell’ambito dell’adozione del Programma da parte del Ministero, un intervento governativo con il quale individuare (e aggiornare con frequenza periodica, ad esempio biennale) gli impianti di chiusura del ciclo ‘minimi’. “Tale impostazione – rispettosa della prerogativa statale in materia – è poi stata abbandonata nei successivi documenti di consultazione (e nella deliberazione n. 363/2021), orientandosi l’Autorità per un coinvolgimento attivo delle Regioni” si legge nella sentenza. Un intervento che “non appare riconducibile alle funzioni attribuite all’Autorità”.
Stando alla sentenza, insomma, l’individuazione degli ‘impianti minimi’, e quindi di conseguenza anche l’indicazione dei fabbisogni minimi di trattamento da soddisfare, è una prerogativa dello Stato. Una lettura che sembra fare il paio con un recente pronunciamento del TAR Lazio, che in una sentenza dello scorso aprile aveva chiesto al governo di emanare un nuovo decreto attuativo dell’articolo 35 del cosiddetto decreto legge ‘Sblocca Italia’, verificando regione per regione la capacità di incenerimento dei rifiuti urbani e indicando, laddove necessario, quali e quanti impianti realizzare per soddisfare il fabbisogno di recupero energetico residuo. La sentenza concedeva al governo e al Ministero dell’Ambiente un termine di 180 giorni per adottare il decreto, scaduto il quale sarebbe stato nominato “quale Commissario ad acta il Capo di Gabinetto del Ministero della Transizione Ecologica” (ora Ministero dell’Ambiente, ndr) per ottemperare alla sentenza nel termine ulteriore di 90 giorni. Il primo termine è già scaduto. Il secondo scadrà il prossimo 21 aprile.