Il Consiglio di Stato ha respinto i ricorsi contro la sentenza del TAR Lombardia che aveva bocciato il sistema degli ‘impianti minimi’ introdotto da ARERA. Non è prerogativa del regolatore, né tanto meno delle Regioni, quella di sospendere la libera concorrenza per far fronte alle criticità nella gestione dei rifiuti urbani
Stop definitivo al sistema delle tariffe al cancello per gli ‘impianti minimi’ di chiusura del ciclo rifiuti messo a punto dall’autorità di regolazione ARERA. Con due sentenze pubblicate questa mattina il Consiglio di Stato ha messo la parola fine alla lunga querelle amministrativa sul meccanismo lanciato dall’authority nell’ambito del MTR-2, confermando i pronunciamenti dei giudici del TAR Lombardia, che nei mesi scorsi avevano valutato come illegittimo il sistema. Anche secondo il Consiglio di Stato, concedendo alle Regioni il potere di individuare impianti ‘minimi’, sottraendoli al mercato e assoggettandoli a un sistema di tariffe e flussi regolati, l’autorità di regolazione “non solo ha indirizzato il potere programmatorio delle Regioni, avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato, che il legislatore non ha inteso delegarle” ma ha di fatto “arricchito di contenuti ad esso estranei il potere pianificatorio delle Regioni, individuando la soluzione ‘normativa’ alle criticità impiantistiche nella sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza“.
Per i giudici di ultima istanza, la stessa istituzione del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti da parte del legislatore nazionale “conferma la scelta originaria di avocare al livello centrale le opzioni pianificatoria ‘di principio'”. È insomma lo Stato, si legge nella sentenza, “a dover indicare le regole, cui le Regioni daranno attuazione”, anche “individuando i siti più idonei per impiantistica di interesse sovraregionale, ma nel contempo mettendo a regime le potenzialità economiche della intrinseca natura di risorsa di un rifiuto recuperato a diverso utilizzo“. Che tradotto significa che spetta allo Stato dettare le regole di base che tengano assieme “la tutela dell’ambiente in tutte le sue implicazioni, da un lato e le ragioni dell’imprenditoria privata, dall’altro”.
Deve insomma essere il legislatore nazionale a definire l’assetto di mercato per i rifiuti urbani: non è di ARERA né tanto meno delle Regioni la prerogativa di limitare la libera concorrenza per far fronte alle criticità gestionali a livello territoriale “in assenza di scelte dello Stato, che, ove richiedono elaborazioni concettuali, dovranno assumere veste necessariamente normativa; ove siano correlate a situazioni concrete di deficit, necessitano comunque di un’angolazione prospettica equidistante e complessiva, come tale capace di valutare necessità e priorità nonché di imporre conseguentemente il sacrificio dell’una a discapito di altra”.
Sancendo in via definitiva “la carenza di potere e il vizio di incompetenza che affligge la delibera di ARERA”, il Consiglio di Stato farà crollare anche tutti gli atti di pianificazione adottati dalle Regioni in applicazione del meccanismo degli ‘impianti minimi’. Toccherà al legislatore nazionale, quindi al Ministero dell’Ambiente, il compito di raccogliere i cocci procedendo alla revisione del Programma Nazionale di Gestione Rifiuti nella direzione indicata dai giudici. Come sollecitato, tra l’altro, anche dalla proposta di risoluzione presentata dalla senatrice Silvia Fregolent e auspicato dalle principali sigle nazionali della gestione rifiuti.