Il decreto materie critiche è legge. Ma sul riciclo c’è poco e niente

di Luigi Palumbo 06/08/2024

Il Senato ha dato il via libera definitivo alla legge di conversione del decreto sulle materie prime critiche. Sul fronte del riciclo arriva il taglio dei tempi autorizzativi, che da solo però non basterà a garantire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei


Il riciclo dei rifiuti tecnologici resta quasi del tutto fuori dalla strategia del governo per garantire l’approvvigionamento dei minerali strategici indispensabili per l’industria nazionale. Come da pronostico, il Senato ha dato il via libera definitivo alla conversione in legge del decreto sulle materie prime critiche senza novità rispetto alla versione licenziata la scorsa settimana dalla Camera, che a sua volta aveva apportato ben poche modifiche al testo adottato a giugno scorso dall’esecutivo Meloni su iniziativa del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Un provvedimento che nelle intenzioni del governo dovrà rispondere agli ambiziosi obiettivi europei del Critical Raw Materials Act dell’Ue, che entro il 2030 chiede agli Stati membri di rilanciare estrazioni in miniera, riciclo e raffinazione per per mettere in sicurezza le catene di fornitura di risorse come litio, rame, cobalto o terre rare. “Questi materiali, infatti, sono essenziali per la produzione di tecnologie avanzate nei settori della difesa, aerospaziale e della transizione energetica – ha dichiarato in aula il relatore Salvo Pogliese (FdI) – è questo il motivo per cui si sente forte l’esigenza di garantire all’Unione europea e all’Italia un approvvigionamento sicuro e sostenibile – ha detto – snellendo e sburocratizzando i termini e le procedure per il rilascio di titoli per l’estrazione e, al tempo stesso, per l’autorizzazione di progetti per il riciclaggio di materie prime”.

Nel dualismo tra estrazioni in natura e estrazioni dalle ‘miniere urbane’, tuttavia, sono le prime a fare la parte del leone, mentre al capitolo sul riciclo la legge di conversione del decreto non va oltre l’intervento sui tempi di autorizzazione degli impianti, fissati a un massimo di 10 mesi. Un intervento utile, ma non sufficiente a raggiungere gli ambiziosi obiettivi dell’Ue, secondo cui entro il 2030 il 25% delle materie strategiche consumate dall’industria dovrà venire proprio dal riciclo, a partire da quello dei rifiuti tecnologici. Che in Italia però vengono raccolti in quantità non sufficienti a garantire le economie di scala necessarie a spingere gli investimenti in tecnologie innovative come pirometallurgia o idrometallurgia, necessarie a estrarre i minerali critici e strategici presenti in piccole concentrazioni nei raee. Per rendere remunerativi i trattamenti servono grandi volumi in ingresso negli impianti, ma nel 2023 le quantità raccolte a livello nazionale sono addirittura diminuite, passando da 535 a 511mila tonnellate con un tasso di ritorno (dato dal rapporto tra raccolta e immesso a consumo medio nel triennio precedente) calato dal 34,01% del 2022 al 30,24. Circa 35 punti in meno rispetto all’obiettivo vincolante del 65% fissato dall’Ue. Che anche per questo la scorsa settimana ha aperto una procedura d’infrazione contro il nostro paese.

Quasi per uno scherzo del destino, la lettera di messa in mora di Bruxelles era stata fatta recapitare a Roma proprio mentre nel corso dell’esame del provvedimento in commissione attività produttive della Camera, su indicazione del governo venivano fatti ritirare una serie di emendamenti di maggioranza che, recependo le indicazioni fornite dal Ministero dell’Ambiente, puntavano proprio a rilanciare la raccolta dei raee potenziando le attività di comunicazione e sensibilizzazione e snellendo le procedure burocratiche, in particolare quelle dedicate agli operatori del retail e agli installatori. Una scelta che ha quasi il carattere dell’autosabotaggio e che dimostra la scarsa sintonia tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, titolare del dossier sulle materie critiche, e il Ministero dell’Ambiente, che nei giorni scorsi aveva invece caldeggiato le semplificazioni chieste a gran voce dagli operatori per rilanciare la raccolta. “È stupefacenteha detto a Ricicla.tv il direttore generale del Centro di Coordinamento Raee Fabrizio Longoni – che proprio mentre l’Ue ci comunicava l’apertura di una procedura d’infrazione alcuni emendamenti al decreto legge sulle materie prime critiche, delle quali i raee rappresentano la principale forma di approvvigionamento, non abbiano trovato accoglimento né spazio di discussione“. 

Un vuoto, quello su riciclo ed economia circolare, stigmatizzato in aula al Senato anche dai partiti di opposizione. “I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche sono un tema importantissimo – ha dichiarato la senatrice Silvia Fregolent (Italia Viva) – abbiamo imprese che stanno operando in tal senso e che chiedono semplificazioni. Il decreto legge – ha detto – non entra nel merito di alcune criticità che questi soggetti subiscono”. “Dove sono – ha aggiunto il senatore Luigi Nave (M5S) – le norme per migliorare la raccolta dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, per combattere l’abbandono nell’ambiente di rifiuti come i grandi bianchi (frigoriferi e lavatrici), o favorire il recupero di piccoli elettrodomestici che abbiamo sicuramente ancora nei cassetti delle nostre case? Questo governo – ha detto – non segue purtroppo la visione circolare. Riaprire e dare concessioni per estrarre materie prime e non porre attenzione alla ‘urban mining’ significa andare nel senso opposto”. “Le chiamiamo ‘miniere urbane’ – ha dichiarato nei giorni scorsi a Ricicla.tv il direttore generale del consorzio Erion WEEE Giorgio Arienti – e poi, quando è il momento di mettere a punto norme che ne favoriscano lo sfruttamento, ce ne dimentichiamo completamente“.

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