I fondi del Pnrr trainano gli investimenti nel settore idrico. Bisogna, però, iniziare a pensare al post 2026
Nel 2025 gli investimenti dei gestori della filiera idrica estesa italiana raggiungeranno gli 80 euro per abitante. È quanto emerge dal Blue Book 2025 realizzato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, stando al quale “gli investimenti realizzati dai gestori industriali sono passati dai 33 euro annui per abitante del 2012 ai 65 euro annui del 2023, con una crescita stimata fino a 72 euro annui nel 2024 e fino a 80 euro nel 2025”. A contribuire all’aumento degli investimenti è soprattutto l’attuazione del PNRR, ma, come si legge nel Blue Book, anche la crescita dimensionale degli operatori.
La gestione industriale copre ormai 50 milioni di cittadini, mentre 7 milioni rispondono ancora alle gestioni ”in economia” con “una differenza significativa nella qualità e negli investimenti”, ha spiegato Francesca Mazzarella, direttrice di Utilitatis, nel corso della presentazione del Blue Book a Roma. I gestori con fatturato inferiore a 25 milioni di euro investono in media 44 euro per abitante, mentre quelli di maggiori dimensioni riescono a superare i 68 euro per abitante. Cifre diverse, invece, per le gestioni in capo agli enti locali, che registrano valori nettamente più bassi, circa 29 euro per abitante. Secondo il Libro Bianco di Teha, presentato assieme al Blue Book di Utilitatis, per archiviare definitivamente le gestioni ”in economia” basterebbero 5 gestori industriali .
Dal Blue Book emerge anche un importante interrogativo legato al post PNRR. Al termine del Piano, serviranno infatti fondi per sostenere le infrastrutture e i progetti che saranno avviati entro il 2026. “Dopo il PNRR – spiega Filippo Brandolini, Presidente di Utilitalia – l’auspicio è che ci sia un impegno a livello di istituzioni nazionali ed europee per mantenere un flusso di denaro e di fondi pubblici per consentire la realizzazione di questi piani di investimento davvero importanti. Noi abbiamo stimato che per i prossimi anni, dai 4 miliardi che abbiamo raggiunto di recente, dobbiamo arrivare e dobbiamo mantenere in piedi circa 6 miliardi di investimenti annui che poi saranno destinati a crescere”.
Immediata la risposta di Valentino Valentini, Viceministro delle Imprese e del Made in Italy, che pur riconoscendo la necessità di nuove risorse alla fine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha tuttavia posto l’accento sul ruolo dei privati. “Quelli del PNRR – ha detto – evidentemente non sono fondi sufficienti. Abbiamo però sentito dagli investitori industriali che in realtà i problemi sono altri. Le risorse ci sono, la volontà di investimento ci sarebbe, i problemi sono semmai di tipo amministrativo, quelli del permitting, quelli che non consentono di fare delle valutazioni tali affinché i grandi fondi possano investire in questa risorsa”.
Le sfide per il settore idrico, però, devono anche e soprattutto confrontarsi con il cambiamento climatico e con la gestione efficiente di una risorsa che, nel prossimo futuro, sarà sempre meno disponibile. “Per effetto del cambiamento climatico abbiamo perso importanti risorse idriche rinnovabili – ha sottolineato Benedetta Brioschi, Responsabile Community Valore Acqua per l’Italia di TEHA Group – la media nel periodo 1951-2023 è di circa 138 miliardi di metri cubi. Abbiamo perso nel 2022 quasi il 50% e la risorsa idrica rinnovabile è stimata ridursi di un ulteriore 40% entro il 2100 in Italia, con picchi di -90% nel sud del Paese“.
Quattro le principali linee di intervento individuate da TEHA: la massima operatività delle grandi dighe e dei piccoli bacini, la riduzione delle perdite di rete (allineando il tasso alla media Ue-27), l’infrastrutturazione del servizio di depurazione e il contenimento dei consumi. Incoraggiante il dato sugli investimenti futuri. Secondo il libro bianco, infatti, “entro il 2029, la quota di investimenti in tecnologie in Italia è prevista in aumento fino a raggiungere il 19%, un tasso di crescita tre volte superiore alla media dell’UE a 27 Paesi. Gli investimenti sono orientati in particolare verso il riuso e il riciclo delle acque reflue (31,7%) e la digitalizzazione per la riduzione delle perdite (20,5%)”.