Nel mondo circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano va sprecato o perso, producendo costi economici ed ambientali inaccettabili. Si tratta di un fenomeno tra gli esempi più lampanti delle contraddizioni della nostra epoca e della nostra economia, e non a caso la Commissione Europea ha deciso di prevedere delle misure per arginare il food waste tra le misure del pacchetto per la Circular Economy.
La lotta agli sprechi potrebbe vedere l’Europa in prima linea, dunque, ma nel frattempo qual è lo stato delle politiche dedicate dai Paesi dell’Unione? Molto deludente, o almeno è quanto emerge dall’audit targato Corte dei Conti Europea e pubblicato ieri sul sito dell’ente comunitario. Esistono «mancate opportunità e potenziali miglioramenti che non richiederebbero nuove iniziative legislative o più fondi pubblici» ha affermato Bettina Jakobsen, il Membro della Corte responsabile della relazione. Che non fa sconti neanche sull’iniziativa più recente, la piattaforma Ue contro gli sprechi alimentari, composta da 70 membri tra rappresentanti di paesi Ue, organizzazioni internazionali e del settore privato, inaugurata il 29 novembre scorso dal commissario europeo alla salute Vytenis Andriukaitis. La piattaforma, secondo Jakobsen, manca il bersaglio: «Ciò che serve ora è un maggior allineamento delle politiche esistenti, un miglior coordinamento e il chiaro obiettivo politico di ridurre lo spreco alimentare». Le azioni intraprese, infatti, nonostante il problema si sia fatto strada tra le questioni di spicco dell’agenda politica in risposta anche alla crescente attenzione dell’opinione pubblica, non sono supportate dalla dovuta ambizione: secondo l’analisi della Corte contabile non è la mancanza di fondi alla base del ritardo attuale, che potrebbe essere recuperato in parte anche senza stanziare nuovi finanziamenti alle politiche di lotta allo spreco, bensì la frammentazione delle scelte dovuto al mancato coordinamento tra i governi. Responsabile, inevitabilmente, la Commissione, che ha evidentemente fatto mancare il proprio ruolo di regia.
Il rapporto si basa su audit in cinque Stati membri, tra cui l’Italia, in particolare la Regione Lazio. Positiva è la valutazione dei revisori su elementi come le misure dei programmi di sviluppo rurale dedicate a ridurre gli sprechi e i messaggi educativi che accompagnano misure Ue come la campagna “frutta nelle scuole”. Ma la relazione stigmatizza la confusione tra data di scadenza (consumarsi entro) e termine minimo di conservazione (preferibilmente entro) riscontrata sulle etichette di prodotti molto simili e gli errori nei dati sulle quantità, i valori e la destinazione (tra cui la donazione gratuita) dei prodotti ortofrutticoli ritirati dal mercato in seguito alla recente crisi dei prezzi.
La dispersione di risorse avviene lungo tutta la filiera dell’industria alimentare (produzione, trasformazione, imballaggio e distribuzione) e per questo è ad ognuna di queste fasi industriali che si dovrebbero indirizzare sollecitazioni alla prevenzione basate sull’enfasi per i benefici di tutti gli attori coinvolti. Non mancano le buone pratiche, tra cui la donazione di alimenti, ma è evidente che manca una strategia e comunque sussistono ostacoli giuridici potenzialmente rimovibili. L’assenza di una definizione comune di “spreco alimentare” e di un valore di partenza condiviso rispetto al quale calibrare gli interventi di riduzione dello spreco ha ostacolato la realizzazione di ulteriori progressi, e ciò nonostante i ripetuti inviti del Parlamento europeo, del Consiglio, del Comitato delle regioni, del G20 e di altre istanze affinché l’UE contribuisca a ridurre lo spreco.
A fronte delle sollecitazioni della Corte, la Commissione ha risposto che pur riconoscendo la gravità del problema degli sprechi alimentari, declina l’accusa di aver visto scemare il proprio impegno sul tema a partire proprio dal pacchetto per la Circular Economy: non più impegno “programmatico”, ma proposta concreta anche sul sollecitato fronte della prevenzione lungo la filiera. Più nel merito secondo la Commissione non serve una definizione comune di “spreco” o “rifiuto alimentare” in quanto giuridicamente sono definite sia “food” che “waste”. Tra i punti condivisi dalla Commissione stessa, la necessità di coordinare le disposizioni sulle donazioni di prodotti alimentari, attualmente oggetto di interpretazioni diverse all’interno dell’Ue, e si tratta quindi di un aspetto potenzialmente in grado di crescere.