Nessuno spazio in manovra per l’annunciata revisione della fiscalità ambientale: sfuma la riforma dell’ecotassa e dei SAD prevista per fine anno. La sola abolizione dell’IVA agevolata sullo smaltimento in discarica potrebbe generare un tesoretto da 700 milioni di euro, ma la misura è destinata a restare fuori dalla proposta di bilancio, blindata per volere del governo
Non c’è né la rimodulazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi sullo smaltimento in discarica né tanto meno la revisione dell’ecotassa nel disegno di legge di bilancio per il 2024 approvato dal governo e presentato a inizio settimana in Senato. Stando al cronoprogramma ufficiale della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare – riforma del PNRR – la prima doveva essere attuata già nella scorsa legge di bilancio, mentre la seconda dovrebbe vedere la luce entro il quarto trimestre di quest’anno, ma quasi sicuramente resteranno entrambe fuori dalla manovra, blindata e dai margini risicatissimi, che cuba 24 miliardi di euro, 15,7 dei quali in extra deficit. Una manovra condizionata dal “rallentamento del quadro macroeconomico” e dalle incertezze geopolitiche, costruita nello spazio strettissimo tra la necessità di “fornire il sostegno necessario all’economia” e i paletti dell’Ue su rientro del deficit e riduzione del rapporto debito/PIL. Condizioni che hanno obbligato il governo a mantenere una impostazione “prudente”, si legge nell’introduzione a firma del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
A farne le spese, in un bilancio che per il 2024 apposta alla missione su ambiente e sviluppo sostenibile circa 3 miliardi di euro – in calo del 22,2% e destinati quasi esclusivamente al rifinanziamento di misure già in essere – è il più volte annunciato piano di revisione della fiscalità verde, a partire dalla rimodulazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi, l’eterogeneo elenco di incentivi, agevolazioni ed esenzioni non in linea con le politiche ambientali nazionali e comunitarie. Dal valore stimato, nell’ultimo catalogo riferito al 2021, in circa 22,4 miliardi di euro. Solo pochi giorni fa, in occasione di un question time alla Camera, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin aveva ribadito la volontà di “avviare una progressiva e graduale riforma sin dalla legge di bilancio 2024”, ma il fragile impegno assunto davanti ai parlamentari si è infranto sugli scogli del complicato quadro macroeconomico. Mettere mano ai SAD comporterebbe infatti in diversi casi un aggravio di oneri per le imprese, come aveva chiarito lo stesso Pichetto, specificando che un’eventuale rimodulazione dei sussidi dovrebbe essere guidata da “crescente gradualità”, garantendo “compensazioni, almeno nei casi in cui l’eliminazione di alcune misure si traduce in una perdita di competitività dell’attività economica, con ricadute negative sullo sviluppo economico e sull’occupazione in Italia”. Garanzie che l’asfittica manovra di bilancio, evidentemente, non può offrire.
A saltare, tra le altre, è la prevista abolizione del regime di IVA agevolata al 10% per lo smaltimento in discarica, che, si legge nell’ultimo catalogo dei SAD, “costituisce senza dubbio un sussidio SDEC (sussidio dannoso per l’economia circolare, ndr), dato che l’agevolazione favorisce la forma di smaltimento in fondo alla lista delle priorità del ciclo dei rifiuti”. L’applicazione dell’aliquota ridotta, secondo stime del Ministero dell’Ambiente, nel solo 2021 ha generato un effetto finanziario di 703 milioni di euro. Che potrebbero più che raddoppiare allineando l’imposta all’aliquota ordinaria del 22%. La riforma sarebbe dovuta finire già nella scorsa legge di bilancio, ma così non è stato. E nemmeno nella nuova manovra ce n’è traccia.
Sempre in tema di discariche sfuma ancora una volta la revisione della tassa sullo smaltimento dei rifiuti urbani, già proposta, e poi stralciata, nell’ambito del recepimento delle direttive europee sull’economia circolare. Stando alla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare la riforma della cosiddetta ‘ecotassa’ avrebbe dovuto prendere corpo entro la fine dell’anno, prevedendo l’innalzamento del tributo “di almeno il 50% tenendo conto delle soglie minime e massime da rivedere per legge”. Nei piani del Ministero il tributo speciale andrebbe riformato per accelerare il percorso dell’Italia verso gli obiettivi europei di economia circolare: la riduzione dei conferimenti in discarica di rifiuti urbani al 10% e il riciclo al 65% entro il 2035. L’aumento degli importi di base dovrebbe quindi da un lato disincentivare lo smaltimento in discarica nelle regioni che vi fanno troppo ricorso e dall’altro garantire maggiori prelievi da indirizzare alla realizzazione di impianti di riciclo e sistemi di raccolta differenziata. Ma la misura non gode del favore dei sindaci, che soprattutto nei comuni più in ritardo con la differenziata e meno dotati di impianti di trattamento sarebbero costretti a ribaltare gli incrementi dell’ecotassa sulla già salatissima tariffa rifiuti.
Anche se la revisione del regime fiscale e tributario per lo smaltimento dei rifiuti urbani non è riuscita a trovare spazio nel disegno legge di bilancio, nello stato di previsione del Ministero dell’Ambiente allegato alla manovra la riduzione dei conferimenti in discarica resta uno degli indicatori per misurare l’efficacia delle strategie nazionali di promozione dell’economia circolare. A fronte di un tasso di smaltimento del 22% riferito al 2019, si legge nell’allegato, le proiezioni lasciano stimare una contrazione dell’1% annuo per gli anni tra il 2024 e il 2026, quando il dato dovrebbe attestarsi su un valore uguale o inferiore al 16%. Trend che trova conferma nei dati più attuali comunicati da ISPRA, che certificano per il 2021 un tasso di conferimento in discarica del 19%. Un avvicinamento inerziale all’obiettivo del 10% al 2035, frutto più dell’incremento delle raccolte differenziate che della disincentivazione dello smaltimento, come notato da uno studio di Ref Ricerche, secondo cui “applicando uniformemente l’aliquota pari a 25,82 euro/tonnellata in ciascuna regione italiana” si potrebbe ricavare dall’ecotassa un gettito di 475 milioni di euro. Cifra pari ai due terzi circa dell’effetto finanziario che sarebbe generato dall’abolizione dell’IVA agevolata. Due misure che, in combinato disposto, potrebbero generare un vero e proprio tesoretto, tanto più prezioso in tempi di finanze asfittiche. Ma non a questo giro, visto che la manovra, almeno per il momento, resta blindata per volontà del governo. E anche l’attuazione della delega fiscale, stando alle bozze circolate negli ultimi giorni, potrebbe non riservare particolari sorprese in questo senso.