Tutto è riciclabile? Assolutamente no, e per quanto si possano ridurre, i rifiuti non si potranno mai eliminare del tutto, né tanto meno riciclarli del tutto. Parola di Karmenu Vella, Commissario Ue all’Ambiente, che si è espresso in questi termini lo scorso aprile quando ha visitato il Parlamento olandese nel suo “tour” per le assemblee dell’Unione (a febbraio è stato anche a Roma) annunciando l’adozione di una Comunicazione per la termovalorizzazione (waste to energy) entro la fine dell’anno. Se non è possibile eliminarli o riciclarli, la soluzione migliore è ricavarne energia: questo, del resto, è quando stabilisce anche la gerarchia europea. Termovalorizzazione che include vari processi che vanno dall’incenerimento alla bruciatura di biogas da digestione anaerobica.
Una posizione registrata positivamente dalla Fead, Federazione europea delle imprese che lavorano nei servizi ambientali e nel waste management, che nei giorni scorsi ha pubblicato un position paper sul percorso intrapreso dalle politiche dell’Unione e sugli annunci per il futuro dell’inquadramento del waste to energy nel quadro delle politiche in materia di Economia Circolare. Un ruolo importante, sottolinea la Fead, quello della termovalorizzazione nel quadro della gestione di quei rifiuti che per motivi tecnici, ambientali o economici non sono altrimenti recuperabili: ruolo che che va inquadrato meglio nelle misure del pacchetto per allineare efficacemente le politiche energetiche a quelle di gestione dei rifiuti nei Paesi dell’Unione. Ma anche in una più chiara, stringente e condivisa definizione della suddetta gerarchia dei rifiuti. Ciò significa che se i principi di sostenibilità tecnica, ambientale, ma anche economica – si legge nel position paper di Fead – devono essere alla base delle scelte di gestione per tutti, allora raccolta differenziata e riciclo devono essere supportati laddove questi parametri di convenienza si realizzano favorendone altrimenti il recupero energetico. Una soluzione di cui tuttavia la stessa Fead sottolinea la natura residuale giacché il crollo delle materie prime (petrolio in primis) rischia di rendere sconveniente in assoluto i processi di raccolta differenziata, selezione e avvio a riciclo senza un intervento dell’Unione che incentivi il mercato delle MPS.
In termini pratici questa sinergia tra politiche energetiche ed ambientali si dovrà tradurre in disposizioni normative, purché siano pensate sapientemente. C’è bisogno di strumenti economici che siano mirati a promuovere la produzione di energia elettrica e/o termica evitandone il fallimento sul mercato e garantendo a tutte le varie forme di termovalorizzazione le stesse opportunità di poter esistere e sopravvivere alla luce dei diversi contesti offerti dai singoli Stati membri. Gli impedimenti possono essere tanti, dal sistema delle tariffe in ingresso agli accessi alla rete di servizi: obiettivo delle direttive comunitarie dovrà essere quello di inquadrare questi meccanismi in un sistema di norme certe dettate da Bruxelles. Uno degli esempi positivi da prendere a modello secondo la Fead è quello della direttiva 2009/28/EC sulle energie rinnovabili, che ha permesso di sfruttare gli incentivi per il waste to energy anche sulla frazione umida degli rsu (tramite la produzione di biocarburanti e bioliquidi o la bruciatura di biomasse). Un aspetto positivo dell’evoluzione normativa secondo il giudizio delle imprese europee sta inoltre nel fatto che la prossima evoluzione normativa sembra già tener conto tanto degli rsu, quanto dei rifiuti speciali: «una vera economia circolare – si legge nel position paper – non può essere realizzata considerando solo i rifiuti urbani […] dal momento che i rifiuti commerciali ed industriali sono una fonte di risorse molto più ampia».
La disomogeneità del contesto europeo è uno degli elementi più sfidanti nella realizzazione di una disposizione normativa che possa essere applicabile a tutti. La posizione della Fead è che complessivamente l’Europa non sia in “overcapacity” poiché anche laddove c’è una concentrazione di impianti, il tonnellaggio non viene mai massimizzato del tutto: in questo senso è apprezzato anche che la Commissione Europea approvi le spedizioni oltreconfine da parte di quei Paesi che hanno ancora un tasso elevato di smaltimento in discarica, ma il lavoro preliminare al quale il Governo comunitario è chiamato, a questo punto, sarebbe quello di provvedere ad una mappatura chiara degli impianti e delle loro capacità in relazione alla loro distribuzione sul territorio e al fabbisogno dello stesso. Praticamente uno “Sblocca Europa“.
Una mappatura parziale in realtà c’è, ed è contenuta nel decimo report dedicato alle infrastrutture per la gestione dell’indifferenziato (residual waste) a cura di Eunomia, un centro studi britannico che per la prima volta ha esteso i confini della propria analisi oltre la Manica. Parziale perché concentra la propria analisi su 11 Paesi Membri dell’Europa centro-settentrionale (Gran Bretagna, Irlanda, Olanda, Germania, Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Norvegia, Polonia e Repubblica Ceca) ricavandone prospettive totalmente opposte a quelle della Fead. L’analisi, infatti, rileva come la dismissione delle discariche tenda ovunque a stimolare il ricorso all’ampliamento degli impianti esistenti quando non alla costruzione di nuovi, ma giudica poco lungimirante questa pratica. Alla luce dei dati attuali l’aumento di capacità di trattamento basato sui progetti già in essere a fronte della diminuzione della frazione residua porterà presto o tardi gli impianti di questi Paesi (specie quelli del Nord Europa) in overcapacity. Condizione per altro già realizzata da Olanda, Svezia, Danimarca e Germania.
Poco male finché c’è chi (come noi) è costretto dalle lacune delle proprie infrastrutture a ricorrere alle spedizioni oltreconfine. Il ragionamento in effetti non è ad oggi valido per tutti, ma il principio che Eunomia sembrerebbe voler sostenere sta nella necessità di rompere il concetto di autonomia di gestione del singolo Paese iniziando a trattare come una vera e propria merce i rifiuti sul mercato europeo. Ragionando in questi termini, l’overcapacity cumulativa degli 11 Paesi presi in considerazione si realizzerebbe già entro il 2025.
Se le discariche si esauriscono e/o le norme riescono finalmente a renderne sconveniente il ricorso, piuttosto che investire massicciamente nella termovalorizzazione potrebbe essere conveniente liberare risorse per impianti di trattamento dei materiali (che alla luce degli obiettivi europei di Circular Economy dovrebbero essere stimolati da target di avvio a riciclo del 65% entro il 2030, che diventa del 75 e dell’85% rispettivamente per i rifiuti di origine commerciale ed industriale, senza contare che alcuni Paesi internamente ne coltivano anche di più ambiziosi). Anche perché l’approssimazione delle prospettive di cui sopra abbasserebbe i prezzi in virtù di una rinnovata domanda di trattamento da parte degli impianti stessi: stando alle proiezioni del centro studi entro i prossimi 15 anni la capacità di trattamento in eccesso si aggirerebbe intorno ai 13,6 milioni di tonnellate annue. Dovessero realizzarsi, simili previsioni non potrebbero che tradursi nella chiusura di più di uno di questi stabilimenti. Una lettura che di certo nasconde dei limiti (a partire dalla circoscrizione degli Stati presi in considerazione) ma che fornisce una variabile economica a quel fronte del “no” altrimenti alimentato solo da uno spesso acritico ambientalismo.