Il Commissario europeo all’energia Kadri Simson lancia la proposta di un piano operativo sul biometano, da definire con il supporto delle utility italiane, “tra le più dinamiche in UE”, ha detto il capo di gabinetto Stefano Grassi. Ma secondo Utilitalia c’è prima da risolvere il trade-off tra pianificazione e concertazione
Un grande piano d’azione per lo sviluppo del biometano da fanghi da depurazione e da rifiuti organici, per dare risposta alle due grandi emergenze che stanno ridisegnando le politiche energetiche europee, quella climatica e quella delle forniture, aggravata dall’aggressione russa ai danni dell’Ucraina. È la proposta lanciata dall’ufficio del Commissario europeo per l’energia Kadri Simson in occasione dell’assemblea generale di Utilitalia, la federazione nazionale delle imprese dei servizi idrici, energetici e ambientali. “Quello del biometano è un settore di nicchia ma centrale nell’ambito del piano RePowerEU – ha spiegato Stefano Grassi, capo di gabinetto del Commissario UE all’energia – perché mette insieme la circolarità nell’uso dei prodotti di scarto, l’efficienza energetica, soprattutto per gli impianti di depurazione, e la dimensione territoriale della produzione. La Commissione ha grande interesse a mettere in atto un piano operativo, partendo dalle best practice italiane che abbondano in Regioni come Lombardia e Toscana”.
La spinta sulla produzione di biometano è una delle direttrici del piano RePowerEU, lanciato nelle scorse settimane dalla Commissione Europea per tenere insieme l’esigenza di decarbonizzare il sistema energetico dell’UE, in linea con gli obiettivi climatici del Green Deal, con la necessità di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili d’importazione russa. Petrolio, carbone, ma soprattutto metano. Più di 140 i miliardi di metri cubi di gas naturale acquistati lo scorso anno dall’UE, “da sostituire con un ventaglio di soluzioni – ha ricordato Grassi – che vanno dalle rinnovabili all’efficienza energetica, passando per la diversificazione”. Per il biometano, nello specifico, è prevista l’adozione di un piano che consenta all’Unione di raggiungere i 35 miliardi di metri cubi di produzione entro il 2030. Un piano che secondo le stime della Commissione mobiliterà “circa 37 miliardi di euro di investimenti. L’auspicio – ha detto Grassi – è che il mondo delle utility italiane, tra i più dinamici in UE, possa darci una mano a mettere in piedi un piano da scalare a livello europeo. È una richiesta di aiuto e di sostegno“.
Un’appello che le imprese italiane si dicono pronte a cogliere. Secondo stime della piattaforma nazionale per il biometano, sfruttando appieno scarti agricoli, rifiuti organici e fanghi da depurazione potremmo arrivare a produrre fino a 8,5 miliardi di metri cubi di gas naturale rinnovabile entro il 2030, più del 10% delle importazioni dalla Russia, pari nel 2021 a 76 miliardi di metri cubi. Una prospettiva che si scontra però con ostacoli infrastrutturali, burocratici e culturali. “C’è un problema di scala degli impianti – ha spiegato il vice presidente di Utilitalia Marco Patuano – che si associa, nel caso dei rifiuti organici da raccolta differenziata, a uno scenario nel quale a fronte di una parte del Paese che è ben infrastrutturata ce n’è un’altra che non lo è e per la quale si spera che il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti, che dovrà essere declinato nei piani regionali, possa tradursi in risposte concrete”.
Ma il tema resta anche e soprattutto quello dei tempi di realizzazione delle opere. “Dal momento in cui avviamo l’analisi ingegneristica fino al taglio del nastro – ha osservato Patuano – ci mettiamo in media sette anni“. Anche per effetto del ‘trade-off’ tra pianificazione e concertazione, ovvero del conflitto tra le necessità infrastrutturali del Paese e la volontà di cittadini e amministratori locali di ospitare impianti sul proprio territorio. Un nodo da sciogliere con gli strumenti del dialogo, ma anche contemplando la possibilità di centralizzare le decisioni in caso di inerzia. Ovvero di esercitare poteri sostitutivi. “La pianificazione a un certo punto diventa scelta politica – ha detto – e dobbiamo scegliere bene il livello sul quale collocarla. Il dialogo è indispensabile, ma deve collocarsi all’interno di un framework coerente dei tempi che ci siamo dati per far accadere le cose”.