Cala la produzione di carta grafica, cresce quella di imballaggi cellulosici e con lei la domanda di maceri da riciclo. Ecco come il bando cinese, poi la pandemia e oggi la crisi energetica stanno cambiando il volto dell’industria cartaria italiana
Cresce la domanda nazionale di carta riciclata. Passando dai 4,6 milioni di tonnellate trasformati nel 2017 ai 5,4 del 2020, il macero si conferma commodity sempre più strategica per la filiera cartaria italiana, un’eccellenza dell’economia circolare che ha saputo resistere alle turbolenze del mercato globale ma che per restare competitiva deve essere messa in sicurezza. La parola chiave è ‘diversificazione’. Lo era nel 2018, quando lo stop della Cina all’import di maceri aveva fatto crollare fino quasi a zero i valori di mercato, lo è oggi che le ripercussioni del conflitto in Ucraina minano la stabilità economica delle attività di trasformazione. In mezzo una pandemia che ha riscritto abitudini di consumo e logiche di produzione. Tre shock che hanno influito profondamente sul rapporto tra domanda e offerta di maceri, chiamando le filiere italiane della carta a fare i conti con le proprie debolezze strutturali e a ridisegnare i propri assetti.
Secondo un’analisi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la chiusura del canale cinese, che fino al 2018 era stato il principale sbocco per i circa 2 milioni di tonnellate di maceri che le cartiere italiane non riuscivano ad assorbire ogni anno, oltre a comportare un eccesso di offerta e quindi il crollo del prezzo di mercato ha anche innescato un progressivo aumento delle quantità destinate al mercato interno, passate dai 4,639 milioni di tonnellate del 2017 a 4,749 del 2019. Complessivamente, l’aumento dell’impiego di carta da riciclo come materia prima è passato dal 47% del 2017 al 50% del 2019. “Una delle forme di adattamento allo shock – ha spiegato Marco Frey nel corso dell’evento di apertura della ‘Paper Week’ del consorzio Comieco – è stata una graduale trasformazione nella direzione auspicabile della valorizzazione circolare di questa materia prima seconda”. Insomma, quando la Cina ha smesso di comprare i nostri maceri, le nostre cartiere hanno cominciato a consumarne di più.
Una tendenza accelerata dagli effetti della pandemia. Secondo la Scuola Sant’Anna, nonostante il rallentamento dovuto ai primi lockdown, gli imballaggi in carta immessi al consumo nel 2021 sono cresciuti di oltre 10 punti percentuali superando i 5 milioni di tonnellate. Parallelamente, il consumo interno di macero è aumentato passando da 5,060 milioni di tonnellate del 2019 a 5,454 nel 2020, con un ulteriore +16% nel 2021. A spingere la domanda nazionale il boom dell’e-commerce, cresciuto del 45% tra 2019 e 2020 e del 18% tra 2020 e 2021 e arrivato a valere 30,5 miliardi di euro. Cala invece la domanda di carta per la grafica e la stampa “soprattutto nel settore dei quotidiani e delle riviste”, ha spiegato Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco. Un rivoluzione nelle abitudini di consumo, alimentata dalle tecnologie digitali, alla quale il settore cartario ha risposto modificando i propri cicli di produzione. “Nell’arco degli ultimi tre anni abbiamo assistito alla riconversione di tre cartiere che dalla produzione di carta grafica sono passate alla produzione di bobine per il settore dell’imballaggio“, ha detto Montalbetti, secondo cui la “metamorfosi” dei consumi si è tradotta in “una domanda aggiuntiva di macero intorno al milione e 300mila tonnellate”.
Anche se la domanda interna aumenta, l’Italia resta esportatore netto di maceri, ovvero ne produce più di quanti non ne riesca ad assorbire l’industria cartaria nazionale. Cosa che la espone ai sobbalzi di un mercato globale in costante fluttuazione. Anche perché nel frattempo la raccolta differenziata continua a crescere: le prime stime sul 2021 parlano di una quantità compresa tra 3,5 e 3,6 milioni di tonnellate. “Un obiettivo che si può ulteriormente consolidare e sviluppare – ha dichiarato Montalbetti – visto che una quantità compresa tra le 800mila e il milione di tonnellate ancora oggi finisce in discarica”. E se da un lato, secondo la Scuola Sant’Anna, occorre mantenere la diversificazione dei canali di sbocco dell’export, dall’altro serve aumentare la domanda interna, stimolando investimenti in nuova capacità di trasformazione. Ma sulle sorti del settore cartario, che consuma enormi quantità di gas ed elettricità, pende minacciosa la spada di Damocle della crisi energetica, esplosa con la ripartenza post covid e oggi aggravata dal conflitto in Ucraina. “È importante che l’industria italiana resti competitiva – ha osservato Marco Frey – e da questo punto di vista il tema energetico è prioritario“. Anche in questo caso, spiega l’università Sant’Anna, la parola chiave dev’essere ‘diversificazione’. Passando dal gas fossile al biometano, ad esempio, ma anche sviluppando soluzioni innovative che possano garantire un taglio dei consumi. Come il recupero energetico ‘a piè d’impianto’ degli scarti di produzione. “Una opportunità che la Germania sfrutta appieno” ha spiegato il vice presidente di Comieco Amelio Cecchini, e che l’Italia invece non riesce a cogliere, complici “burocraticità e permessi. Un elemento di competitività – ha aggiunto – che potrebbe vanificare anche i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza“.