Blocco delle raccolte differenziate, smaltimento in discarica dei materiali recuperabili, compromissione della qualità dei processi di riciclo. Un vento impetuoso arriva dall’oriente e rischia di spazzare via la più antica tra le nostre filiere del recupero rifiuti, per secoli baluardo del riciclo e adesso, invece, minacciata da eventi che la fanno somigliare ogni giorno di più al proverbiale castello di carte. E di cartoni.
Autentica eccellenza manifatturiera, decima al mondo nel 2017 secondo i dati Fao per volume della produzione, la nostra industria cartaria è anche una delle forme più longeve di economia circolare “made in Italy”: già nel XIII secolo in cartiera si trasformavano gli scarti (prima gli stracci, poi la carta) in nuovi prodotti. Secondo Assocarta, ancora oggi il 60% circa della materia prima utilizzata nei cicli produttivi è costituito da carte da riciclare, pari nel 2017 a circa 5 milioni di tonnellate.
Al ritmo di 10 tonnellate al minuto, insomma, una montagna di fustini, scatole, buste da lettere e libri che nessuno vuol più leggere entra ogni giorno nelle nostre cartiere, per essere scomposta in pasta di fibre all’interno di grossi calderoni, i cosiddetti “spappolatori”. La pasta è quindi pressata in fogli lunghi chilometri, che arrotolati in enormi bobine vengono avviati alle imprese per essere trasformati in nuovi prodotti. Un segmento industriale, quello delle cartiere italiane, del valore di 7 miliardi di euro, che diventano 31 se si considera l’intera filiera.
E se le fasi di produzione della carta e della sua trasformazione in prodotti finiti vivono una stagione positiva, con fatturati in crescita e domanda in continuo aumento soprattutto nel campo del packaging (complice la crescita dell’e-commerce) la fase a monte della filiera, quella della raccolta e avvio a riciclo dei rifiuti, rischia invece di andare in tilt per effetto dello stop imposto dalla Cina alle importazioni di scarti. Tra le misure introdotte a partire dal primo marzo di quest’anno, il blocco totale dell’import di rifiuti in carta non selezionati e nuovi, rigidissimi standard qualitativi, con un massimo di contaminazione dello 0,5%, per il macero importato.
Cos’è il macero? È il nome che viene dato ai rifiuti in carta e cartone puliti da materiali estranei come plastiche, colle e paraffine, e pressati in balle di qualità omogenea. Grazie a questo trattamento, i maceri smettono di essere un rifiuto e diventano materia prima seconda, ovvero un prodotto vero e proprio, che può quindi essere venduto alle cartiere sul mercato internazionale. Almeno in teoria, visto che i severi limiti qualitativi introdotti da Pechino, fino allo scorso anno il principale importatore mondiale, hanno reso di fatto quasi impossibile vendere macero agli impianti cinesi. E l’Italia, seconda esportatrice europea di carta da riciclare dopo l’Inghilterra, è per questo tra i Paesi più esposti agli scossoni di un mercato globale in forte agitazione. In ballo c’è il destino delle raccolte differenziate. Che rischiano addirittura di bloccarsi.
“Se non interverranno elementi di buon senso da parte di tutti gli operatori della filiera si assisterà in breve ad un blocco del ciclo dei materiali che rimarranno presso i produttori e/o i centri di stoccaggio, con evidenti danni per l’economia di tutta la filiera, per i sistemi pubblici di raccolta differenziata e con possibile rischio per l’ambiente”, scrive Giuliano Tarallo, presidente di Unirima, l’associazione delle imprese produttrici di macero. Per comprendere le proporzioni del problema basta qualche numero. Nel 2016, su 6,8 milioni di tonnellate di rifiuti in carta raccolte, solo 4,9 sono finite nelle 55 cartiere italiane (solo 5 delle quali al Sud), mentre il resto, non potendo trovare collocazione qui in Italia, è stato esportato: 1,9 milioni di tonnellate, poco meno di un terzo, finite per metà proprio in Cina. Con i nuovi standard di qualità, però, accedere a quel mercato sarà sempre più complicato.
“Se il macero non va in esportazione – spiega Aldo Savarese, presidente della rete 100% Campania – c’è un esubero di mercato, e se le piattaforme di stoccaggio si riempiono, prima o poi occorre svuotarle o la raccolta si blocca. Questa esigenza potrebbe rendere necessario lo smaltimento in discarica di grandi quantità di carta da riciclare”. Fermiamoci un attimo. Come è possibile che per i materiali differenziati che non finiscono in Cina non ci sia altro sbocco se non la discarica? Purtroppo è possibile, visto che in Italia non abbiamo cartiere a sufficienza per trasformare tutti gli scarti cellulosici che riusciamo a raccogliere. Ecco perché esportiamo tanto. E visto che il prodotto delle nostre cartiere non basta a soddisfare la domanda del mercato nazionale, siamo anche costretti ad importare carta e cartone dall’estero. Circa 1,3 milioni di tonnellate all’anno, provenienti dalla Germania, ad esempio, ma anche dai Paesi dell’est Europa. Insomma, dipendiamo tanto dall’import di prodotti quanto dall’export di rifiuti, quando potremmo riciclare questi ultimi e ridurre l’acquisto dei primi. Un paradosso dovuto soprattutto alla mancanza di impianti.
“Molte aziende cartarie che riciclano hanno investito per ampliare la capacità di riciclo in Italia – dichiara Girolamo Marchi, presidente di Assocarta, l’associazione delle cartiere – peccato che i diversi investimenti in corso, siano spesso impastoiati in storie di straordinaria burocrazia e di comitati che ormai si oppongono a tutto, anche all’economia circolare che va a chiudere il ciclo del rifiuto che ognuno di noi, quotidianamente, deposita nella raccolta differenziata. Potrei citare molti casi: ricordo solo quello della riconversione della cartiera a Mantova ancora soggetta ad uno stillicidio di ricorsi e denunce inenarrabile”.
Fortunatamente, pronte a partire ci sono già due nuove cartiere, mentre altrettante sono in avanzata fase di progettazione. Secondo gli addetti ai lavori, nel medio periodo i futuri impianti potrebbero assorbire buona parte del macero che oggi viene esportato. Un contributo prezioso alla gestione della crisi cinese, tuttavia però non risolutivo. Anche perché c’è da tenere conto del progressivo aumento delle raccolte differenziate, che soprattutto al Sud hanno ancora terreno da recuperare. Secondo il consorzio Comieco, lo scorso anno tra carta e cartone sono state raccolte oltre 3 milioni di tonnellate, corrispondenti a 53,1 kg per abitante, che nelle Regioni meridionali però sono solo 32,5, distanti dai 65,6 kg del Centro, e dai 63,3 kg pro-capite del Nord. Tant’è che il consorzio stima in “600mila le tonnellate di carta ancora recuperabili all’anno e intercettabili per 2/3 nei territori della Campania e della Sicilia”.
Al momento, insomma, con il blocco cinese la filiera italiana resta quella più esposta alle intemperie del mercato globale. Un autentico mare in tempesta. Il macero che l’Europa esportava in Cina, pari nel solo 2016 a ben 8,6 milioni di tonnellate, oggi resta infatti quasi tutto sul mercato del Vecchio Continente, fino a saturarlo. Al punto che negli ultimi mesi l’offerta di carta da riciclare ha superato la domanda delle cartiere, le quotazioni del macero sono crollate (passando da circa 100 a poco più di 30 euro a tonnellata) e i magazzini hanno cominciato a riempirsi di balle che nessuno vuole.
Ecco perché il rischio, a questo punto, è che la necessità di svuotare le piattaforme di stoccaggio per evitarne l’intasamento, e quindi il blocco delle raccolte, possa portare allo smaltimento dei maceri in discarica o inceneritore. Tanto più se i materiali risultassero deteriorati dopo uno stoccaggio particolarmente lungo ed esposto a condizioni climatiche non ottimali. Perdendo così materia preziosa e riciclabile e vanificando gli sforzi dei cittadini per fare una buona raccolta differenziata. Anche per questo lo scorso 13 marzo Unirima e Assocarta hanno scritto al Ministero dell’Ambiente, al Ministero dello Sviluppo Economico, all’ANCI e alla Conferenza Stato Regioni chiedendo misure urgenti per il settore del recupero e del riciclo della carta “onde fronteggiare lo stoccaggio dei materiali a causa del blocco dell’export in Cina e l’istituzione di un tavolo di consultazione in materia”.
Ma non è finita qui, perché oltre a mettere a rischio le raccolte differenziate, il blocco cinese potrebbe anche comportare un abbassamento della qualità delle operazioni di riciclo nelle cartiere italiane. Nonostante il giro di vite sulle importazioni, infatti, la Cina continua ad avere un disperato bisogno di macero dall’estero. Questo perché il Dragone, che produce ogni anno più di 100 milioni di tonnellate di carta e cartone, non dispone delle quantità di rifiuti o di cellulosa vergine sufficienti a soddisfare la domanda delle sue 5mila cartiere.
I rigidi standard imposti ai Paesi esportatori potrebbero quindi spaccare l’offerta di mercato in due tronconi: da una parte il macero di qualità diretto verso la Cina, dove la domanda per questo tipo di prodotto è ancora forte e i prezzi restano alti, dall’altro il materiale di scarto diretto invece alle cartiere nazionali. A a prezzi stracciati, è vero, ma con una resa qualitativa inferiore, che potrebbe compromettere la collocazione delle bobine di carta riciclata sul mercato. Senza dimenticare che il costo per lo smaltimento delle frazioni estranee ricadrebbe poi sugli stessi impianti. Che proprio per questo motivo si stanno già attrezzando per eseguire controlli di qualità ancora più approfonditi sui materiali in ingresso.
“Da pochi mesi – racconta Carlo De Iuliis, manager di Cartesar – abbiamo installato in cartiera una carotatrice con sensore ad infrarossi che ci permette di analizzare in tempo reale la composizione di ogni carico in ingresso nell’impianto, verificandone la corrispondenza a quanto dichiarato nei documenti di accompagnamento. Dal punto di vista spettrografico, la macchina ci restituisce in pochi secondi le impurità presenti nelle balle, riconoscendo materiali estranei come le plastiche, ma anche misurando la presenza di lignina, ceneri e il grado di umidità. Se la non conformità – prosegue – è legata alla presenza di impurità, il camion viene assolutamente respinto. Se il problema è l’umidità a seconda del grado si contatta il fornitore e si comunica la differenza”. Ma quali sono le impurità più frequenti? “Plastiche, metalli, legno, tessuti. Si tratta – spiega il manager – soprattutto dagli errori commessi dai cittadini nel fare la differenziata”. Anche da questo, dal lavoro necessario ad aumentare la qualità (e non solo la quantità) delle raccolte, dipenderà la capacità della filiera italiana di resistere al vento impetuoso che viene dall’oriente.