L’introduzione dello scudo anti-inflazione ha spaccato in due il regime di incentivi al biometano finanziato dal PNRR: il 70% delle imprese entrate nelle prime graduatorie ha rinunciato all’assegnazione e si è ripresentata alla terza gara, che anche per questo è risultata più popolata. Ora per le aziende rimaste indietro si studiano misure di compensazione, ma servono le risorse
Altro che incentivi ‘sbloccati’. Sono veri e propri incentivi ‘spaccati’ quelli finanziati con 1,7 miliardi di euro dal PNRR per lo sviluppo della produzione di biometano da scarti agricoli e rifiuti organici: da una parte le aziende che si sono aggiudicate i contingenti delle prime due aste bandite dal GSE. Dall’altra quelle della terza graduatoria, pubblicata nei giorni scorsi, e della quarta asta, che sarà bandita a inizio giugno. In mezzo, l’introduzione dello scudo ‘anti-inflazione’, attivato alla fine dello scorso anno con la conversione del decreto Asset, che ha previsto dal terzo bando in poi l’adeguamento della tariffa incentivante e dei contributo in conto capitale all’andamento dell’indice inflattivo medio. Una misura accolta con favore dalle imprese, ma che adesso rischia di creare pesanti disparità tra gli operatori.
Allo stato attuale, infatti, chi si è aggiudicato gli incentivi nelle prime due gare si vedrà riconosciute condizioni che, rispetto a quelle garantite dall’avvio del meccanismo anti inflattivo, sono di gran lunga meno favorevoli. A farne le spese saranno soprattutto le imprese che non sono riuscite a venire fuori dalle prime due graduatorie. Già, perché alla notizia dell’attivazione dello scudo anti inflazione è partita una vera e propria fuga, con decine di aziende che hanno rinunciato al contingente già assegnato per puntare tutto sui bandi successivi, contribuendo così a gonfiare i numeri della terza graduatoria. Che anche – anzi soprattutto – per questo è risultata molto più popolata. Più della metà delle imprese, infatti, compariva già in posizione utile nelle graduatorie pre-decreto Asset.
A una prima lettura dei numeri comunicati dal Ministero dell’Ambiente e dal GSE, anche su questa testata avevamo parlato di incentivi ‘sbloccati’. Ma si è trattato di un giudizio frettoloso. Incrociando le tre graduatorie pubblicate fin qui dal GSE, infatti, viene fuori che dei 111 progetti ammessi agli incentivi nell’ambito della prima e seconda gara, ben 77 (il 70% circa) hanno rinunciato alle agevolazioni per ripresentare domanda nell’ambito del terzo bando, finendo tra i 132 in posizione utile: il 58% del totale. I progetti godranno quindi del nuovo e più favorevole regime di incentivazione, cosa che invece non varrà per le 34 aziende rimaste per motivi diversi (tempi e burocrazia su tutti) nelle prime due graduatorie. Aziende che accederanno sì agli incentivi, ma in una forma di gran lunga depotenziata rispetto a quella attuale.
Per capire quale sia il gap tra i due regimi basta confrontare tariffa incentivante e copertura in conto capitale. La prima, nei primi due bandi, assegnava 110 euro per MWh agli impianti agricoli con capacità superiore ai 100 Smc/h e 62 euro agli impianti a rifiuti organici. Con l’adeguamento all’inflazione (calcolata tra l’altro con riferimento al 18 novembre 2021, quindi sul periodo peggiore) si passa invece rispettivamente a 124,48 e 70,16 euro per MWh. Non solo. Il meccanismo introdotto con il decreto Asset sposta più in alto anche il tetto massimo delle spese ammissibili per la copertura al 40% in conto capitale, che a titolo d’esempio per i nuovi impianti agricoli con capacità superiore ai 500 Smc/h passa da 13mila a 14.711,17 euro, mentre per i nuovi impianti a rifiuti organici passa addirittura da 50mila a 56.581,44 euro. Condizioni che creeranno forti disparità tra gli operatori, con gli assegnatari dei ‘nuovi’ incentivi che potranno rientrare dell’investimento sostenuto in tempi più rapidi (e a costi inferiori, se si pensa agli interessi sui prestiti) rispetto ai 34 progetti dei primi due bandi di gara.
La spaccatura del regime di incentivi in due veri e propri ‘sotto-regimi’ diversi non è ignota a MASE e GSE. Già a inizio anno un ordine del giorno (a firma dei deputati di Forza Italia Luca Squeri e Vito De Palma) presentato alla Camera durante l’esame del decreto Energia, sul quale il governo aveva espresso parere favorevole, chiedeva al Ministero di valutare l’adozione di misure per ripianare le disparità tra le imprese incentivate. Sulla definizione di un possibile intervento, tuttavia, pende l’incognita delle risorse, che andrebbero reperite fuori dal perimetro del PNRR. Nel frattempo Ministero e GSE sono al lavoro sulla quarta procedura competitiva, in calendario per il prossimo 3 giugno. Per la prima volta saranno ammessi anche i progetti di revamping di impianti a biogas da rifiuti organici, ma il dado potrebbe ormai essere tratto.
Resta infatti il nodo delle tempistiche imposte dal PNRR. Per accedere ai contributi, gli interventi – siano essi di nuova costruzione o revamping – non possono partire prima della pubblicazione delle graduatorie definitive e devono essere completati entro il giugno del 2026. Tempi strettissimi: i risultati della prossima asta verranno resi noti solo a fine ottobre. Ciò significa che gli assegnatari avranno a disposizione poco più di un anno e mezzo per avviare e portare a termine i lavori. Un margine forse troppo risicato, che unito alle complessità tecniche e ai costi ancora elevati delle opere di connessione degli impianti alla rete nazionale continuerà con ogni probabilità a impedire il pieno decollo del ciclo di incentivi.
Tenuto conto dei progetti passati dalle prime due alla terza graduatoria, i numeri del ciclo di incentivi restano quelli di un flop, con un contingente incentivabile assegnato di poco meno di 72mila metri cubi l’ora. Che se da un lato, come ha detto il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, aiuterà a raggiungere l’obiettivo dei 600 milioni di metri cubi l’anno di nuovo biometano (obiettivo che avremmo dovuto raggiungere entro la fine dello scorso anno e che poi è stato rinviato a giugno 2025 con la revisione del PNRR), dall’altro rappresenta poco più di un terzo del coefficiente incentivabile da assegnare entro il 2024, pari a 257mila metri cubi. Per raggiungere l’obiettivo dei 2,3 miliardi di metri cubi di nuova produzione di biometano, da centrare entro il 2026, servirà insomma un deciso cambio di passo. Senza dimenticare che l’incremento della capacità impiantistica non può prescindere da una maggiore (e migliore) disponibilità di scarti da trattare, quindi dall’estensione all’intero territorio nazionale della raccolta differenziata di rifiuti organici – obbligatoria dal 1 gennaio 2022 – e più in generale dall’attivazione di tutti i canali di approvvigionamento delle biomasse. Condizioni in assenza delle quali, avvertono da tempo gli operatori, soprattutto nelle regioni settentrionali si corre il rischio di ritrovarsi con più impianti che rifiuti da trattare.