Il giro di vite sulle esportazioni di ‘black mass’ è l’ultimo tassello dell’Ue al quadro di azioni per aumentare la circolarità nella produzione di batterie e ridurre la dipendenza strategica dai paesi terzi. Ma il sistema industriale di riciclo fatica a decollare
Regole più rigide per le movimentazioni di rifiuti, obiettivi sfidanti di raccolta a fine vita e target di contenuto minimo riciclato. La partita per l’autonomia strategica dell’ecosistema continentale delle batterie, settore chiave per il futuro della doppia transizione ecologica e digitale, si giocherà anche nel campo dell‘economia circolare. Nelle ultime settimane la Commissione europea lo ha ribadito più volte, nella bussola della competitività, nel Clean Industrial Deal e da ultimo nel piano d’azione per il rilancio dell’automotive, avvertendo che “per ridurre la dipendenza dalle materie prime vergini e aumentare l’autonomia strategica e la resilienza della filiera” servirà anche e soprattutto aumentare la circolarità nella produzione di accumulatori.
Un’indicazione che rafforza il percorso già tracciato sul piano normativo dal nuovo regolamento europeo di settore, che dal 18 agosto 2031 obbligherà chi immette accumulatori sul mercato dell’Ue a utilizzare almeno il 16% di cobalto, l’85% di piombo, il 6% di litio e il 6% di nichel provenienti dal riciclo. Risorse che oggi l’Europa importa da un pugno di paesi terzi e che per questo pesano come un macigno sia sulla competitività di produttori e utilizzatori di accumulatori che sulle prospettive di processi come quelli di elettrificazione della mobilità e dei consumi energetici. Per questo i minerali necessari alla produzione di batterie figurano nella lista dei 17 Strategic Raw Materials, l’elenco delle risorse chiave per la transizione ecologica e digitale il cui fabbisogno, entro il 2030, dovrà essere soddisfatto almeno per il 25% con risorse recuperate dai rifiuti. A km zero. Prima però bisogna completare lo sviluppo del sistema industriale di riciclo, che invece ancora manca.
Secondo il Politecnico di Milano, in Europa la capacità di riciclo dei materiali strategici contenuti nelle batterie si aggira intorno alle 80 mila tonnellate, equamente distribuita tra pirometallurgia e idrometallurgia (i due principali processi di recupero avanzato), ma concentrata quasi esclusivamente nei paesi del centro e nord e, soprattutto, dedicata quasi esclusivamente a rifiuti diversi dalle batterie per auto elettriche. Che nel prossimo futuro, invece, peseranno per una quota via via crescente, fino a raggiungere, secondo il Joint Research Center dell’Ue, le 350 mila tonnellate annue nel 2030, tra moduli a fine vita e rifiuti del processo produttivo.
Stando ai calcoli del PoliMi, per trattare tutti i volumi di batterie per auto elettriche destinabili al riciclo servirà mobilitare investimenti per almeno 142 milioni di euro entro il 2030 e per 2,6 miliardi entro il 2050. L’industria si sta già muovendo. Secondo la ONG Transport&Environment sono almeno 34 i progetti di riciclo avanzato degli accumulatori in cantiere in tutta Europa, con una capacità complessiva di 780 mila tonnellate, ma il 44% delle iniziative starebbe incontrando difficoltà legate soprattutto agli alti costi di investimento e operativi (leggasi costi dell’energia) e all’incertezza che ancora avvolge un mercato in evoluzione. Travolto dalla crisi di settore, l’automotive si muove per ora in ordine sparso: lo scorso ottobre Mercedes ha inaugurato in Germania il primo impianto in Europa a ciclo completo – meccanico e idrometallurgico – per il riciclo di batterie per auto elettriche, mentre nelle stesse settimane Stellantis ha accantonato la partnership con la francese Orano per la circolarità delle e-car (inclusi i progetti di gigafactory in Italia) in attesa di conoscere il destino della transizione all’elettrico in Ue.
Le prime risposte, sul fronte della mobilità, sono arrivate nei giorni scorsi con la presentazione del piano d’azione per l’automotive, nel quale la Commissione si è detta pronta a mettere sul piatto 1,8 miliardi di euro dell’Innovation Fund per supportare direttamente la produzione di batterie, assieme a un annunciato allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato, ma sullo sviluppo della filiera del fine vita Bruxelles, per ora, non è andata oltre un generico impegno a “valutare la possibilità di sostegno finanziario per i veicoli fuori uso e gli impianti di riciclo delle batterie”. Le nuove risorse si aggiungeranno al miliardo di euro in contributi a fondo perduto già messo a disposizione dei progetti innovativi con una call bandita lo scorso dicembre e aperta a iniziative che coprono orizzontalmente l’intera catena del valore delle batterie, incluso il riciclo. Che però, secondo T&E, meriterebbe un approccio più focalizzato.
Decisamente più verticali, invece, gli interventi sul piano regolatorio, che puntano da un lato, con gli obiettivi di contenuto minimo del nuovo regolamento, a stimolare la domanda interna di risorse riciclate, e dall’altro a garantire agli impianti flussi di rifiuti tali da rendere remunerativi i trattamenti, che sono estremamente costosi e che, soprattutto nel caso degli accumulatori esausti di minori dimensioni, possono recuperare quantità minime di minerali critici. Le batterie da recuperare di sicuro non mancheranno: secondo Interzero Italia, considerando le auto e i veicoli elettrici attualmente circolanti, nei prossimi otto anni solo nel nostro paese gli accumulatori esausti agli ioni di litio potrebbero toccare quota 9 milioni. Bisognerà però fare in modo da intercettarli e avviarli correttamente a trattamento.
Per stringere le maglie della raccolta il nuovo regolamento ha previsto, tra l’altro, il rafforzamento dell’istituto della responsabilità estesa del produttore, estendendo l’obbligo di ritiro gratuito a tutte le categorie di accumulatori a fine vita, ma l’Ue vuole anche evitare che le risorse contenute nelle batterie a fine vita possano scivolare fuori dai confini del mercato unico per essere recuperate altrove. Ecco perché contestualmente alla presentazione del piano automotive la Commissione Ue ha anche aggiornato l’elenco europeo dei rifiuti, inserendo nuovi codici per identificare e supportare la corretta gestione dei residui provenienti dalle diverse fasi del ciclo di vita delle batterie. Inclusa la cosiddetta ‘black mass’, il prodotto intermedio del trattamento degli accumulatori esausti ricco di risorse preziose eppure troppo spesso “esportato in paesi terzi nonostante la sua importanza economica e ambientale per l’ecosistema europeo delle batterie”, come sottolineato dalla Commissione nel Clean Industrial Deal.
Con l’aggiornamento dell’elenco europeo, invece, la ‘black mass’ – insieme ai principali rifiuti da batterie esauste – entrerà nel perimetro giuridico dei rifiuti pericolosi e sarà quindi soggetta a regole più severe sulle movimentazioni transfrontaliere, incluso il divieto di esportazione verso i paesi in via di sviluppo, mentre per le spedizioni verso i paesi OCSE ed EFTA andrà attivata la procedura PIC (previo informato consenso). Un giro di vite che, nelle intenzioni dell’Ue, servirà non solo a ridurre il rischio di gestioni non a norma, ma soprattutto a fare in modo che “grazie al maggiore accesso alla ‘black mass’ – si legge nel piano automotive – aumenti anche il riciclo” dentro i confini dell’Unione. Una leva per la circolarità, ma anche un cordone di sicurezza – di fatto con finalità protezionistiche – che fa il paio con la stretta operativa già dal 1 gennaio di quest’anno sulle spedizioni di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. A loro volta ricchi di risorse critiche e strategiche.
Oltre a evitare che rifiuti ricchi di risorse preziose (ma anche di elementi potenzialmente nocivi) possano finire in paesi terzi, servirà però anche raccogliere di più e meglio quelli che invece sfuggono del tutto all’intercettazione. Soprattutto gli accumulatori di minori dimensioni, quelli contenuti delle apparecchiature tecnologiche o nei mezzi come monopattini e bici elettriche. Per le batterie portatili il quantitativo minimo di raccolta viene fissato dal nuovo regolamento al 63% entro il 2027 per poi arrivare al 73% entro il 2030, mentre per i mezzi di trasporto leggeri il target è del 51% entro il 2028 e del 61% entro il 2031. Al momento, tuttavia, il tasso medio di intercettazione di pile e accumulatori portatili in Ue si attesta al 48%, poco al di sopra dell’obiettivo del 45% che la vecchia direttiva chiedeva di raggiungere entro il 2016. Obiettivo che l’Italia, tra l’altro, non è mai riuscita a centrare. Nel 2023, anzi, il tasso di raccolta è addirittura diminuito, scendendo al 30,6%. Meno della metà del target che l’Ue chiede di raggiungere entro il 2027.