Erano fanalino di coda, oggi invece hanno mappato tutto l’amianto sul territorio regionale: così Molise e Calabria hanno puntato sulla tecnologia per completare l’individuazione dei manufatti contaminati dalla fibra killer
Puntare sulla tecnologia per abbattere i tempi e i costi delle attività di mappatura dei materiali contaminati da amianto. È la strada scelta da Calabria e Molise, che grazie a innovative modalità di telerilevamento sono passate dall’essere fanalino di coda nazionale al risultare in linea con le prescrizioni di legge sull’individuazione dei manufatti da bonificare, come le coperture in eternit ondulato. “Oggi – spiega Vincenzo Marra, geologo e consulente per la società pubblica di ingegneria ambientale Sogesid – possiamo dire che in entrambe le regioni abbiamo una copertura totale“. Merito di uno screening capillare del territorio realizzato utilizzando modalità avanzate di rilevazione e analisi aerofotografica. “In Calabria siamo partiti nel 2012 con una ripresa iperspettrale nell’ambito di una campagna di fotografie aeree ad hoc – racconta Marra – mentre in Molise nel 2017 è stata realizzata un’analisi a infrarossi su ortofoto già realizzate. Due metodi assimilabili, anche se non proprio identici”.
In entrambe le regioni insomma l’individuazione dei materiali contaminati non è stata affidata alle classiche tecniche di rilevamento diretto, ovvero censimento visivo e prelievo di campioni – che richiedono tempi lunghi e cospicui finanziamenti (oltre a comportare un elevato rischio di esposizione all’asbesto per i tecnici) – ma è stata condotta da lontano, rilevando la ‘firma spettrale’ dell’amianto, che come tutti i materiali emette una sua radiazione tipica, una vera e propria impronta digitale che aiuta a riconoscerlo anche da fotografie scattate a grande distanza. “Individuare tutto l’amianto verificando edificio per edificio sarebbe impossibile – chiarisce Marra – mentre questa tecnologia è ad alto rendimento, perché consente di fare un rilevamento molto più rapido ma a un costo minore”.
Un approccio che ha consentito a Calabria e Molise di recuperare il ritardo accumulato rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale, che dal 1992 chiede alle regioni di censire, e dal 2001 di mappare, l’amianto presente sul proprio territorio. La Calabria, nello specifico, ha cominciato a comunicare i propri dati al Ministero dell’Ambiente solo dal 2018, al termine della campagna di analisi iperspettrali che ha consentito per la prima volta l’individuazione di oltre 108mila manufatti contaminati per un’estensione di più di 10 milioni di metri quadrati. In Molise invece l’analisi agli infrarossi delle ortofoto del territorio regionale ha consentito di integrare con nuovi siti una mappatura che per anni è stata ferma ai circa 900 individuati nel 2006 dall’Arpa regionale, al termine di una campagna condotta quasi esclusivamente con rilievi diretti.
Oggi il Ministero considera le due regioni tra quelle in regola con l’aggiornamento della mappatura – a differenza della Lombardia, che invece risulta non inviare dati dal 2014 – e sta procedendo a valutare i siti censiti per inserirli nella banca dati nazionale, uno strumento imprescindibile per pianificare le attività di bonifica. Anche in Calabria e Molise, però, mappare resta una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire la rimozione dell’amianto censito. A frenare gli interventi ci sono soprattutto gli elevati costi di smaltimento, visto che nessuna delle due regioni è dotata di discariche autorizzate e che entrambe sono costrette a ricorrere a impianti in altre regioni, nelle vicine Puglia e Basilicata, o all’estero. In più, al costo delle rimozioni, già di per sé ai limiti del proibitivo, si somma quello della reinstallazione delle coperture rimosse. Il risultato è che i soldi, anche quando ce li mette lo Stato, non bastano. “In Molise, ad esempio – ricorda Marra – era stato stanziato un fondo per la rimozione che però non copriva i lavori di ripristino delle coperture e le bonifiche andarono in stallo”.
Oltre ad aiutare le bonifiche (soldi permettendo), una mappatura completa serve però anche a prevenire fenomeni di rimozione e abbandono illecito. “Censire tutte le coperture significa avere contezza che in un determinato edificio è presente amianto – spiega Marra – e che se in occasione di un controllo quell’amianto non c’è più, vuol dire che è stato smaltito illegalmente“. Abbandonato sul territorio con tutto quello che ne consegue in termini di impatto sull’ambiente e sulla salute. Mappare, insomma, si deve. Non solo perché è la legge a imporlo, ma perché ne va della salute e del benessere di intere comunità. La banca dati nazionale, che al momento conta 118mila siti, resta tuttavia popolata a macchia di leopardo. Perché? “Non saprei dare una risposta precisa – ammette Marra – può dipendere dalla sensibilità degli amministratori locali, ma anche dalla maggiore o minore disponibilità economica. Fatto sta che ci troviamo di fronte a un’emergenza nazionale e a un’esigenza che accomuna tutte quante le regioni. Non avere censito l’amianto significa non avere la garanzia che lo smaltimento, quando viene effettuato, avvenga nella maniera corretta“.
La mappattura delle coperture in cemento amianto tramite telerilevamento in Calabria, oltre a , giungere in ritardo, risulta di vecchia data risalendo il rilevo al 2014. Siamo al 2022 e ci sarebbe dovuto essere il riscontro con il telerilevamento ad oggi. Oltretutto, cosa gravissima, in Calabria il Piano Regionale Amianto è scaduto l’8 maggio 2022 senza che nessuno in Regione se ne sia preoccupato. Di fatto manca un progetto politico per le bonifiche stante l’indifferenza a tutti gli allarmi ed i suggerimenti che vengono dall’ONA Cosenza, (Osservatorio Nazionale Amianto)