Via libera del Parlamento Ue alla nuova direttiva sulle acque reflue: sì all’istituzione di sistemi di responsabilità estesa per cosmetica e farmaceutica. Prevista la copertura solo all’80% dei costi di disinquinamento avanzato per rispondere agli allarmi sui possibili rincari dei medicinali. EurEau: “Non considerata l’accessibilità dei servizi idrici”
Entro la fine del 2028 gli Stati membri dell’Ue dovranno garantire che le aziende della cosmetica e della farmaceutica contribuiscano economicamente alla rimozione degli inquinanti dalle acque reflue attraverso nuovi sistemi di responsabilità estesa del produttore. Lo prevede la riforma della direttiva quadro sulla depurazione, approvata ieri dal Parlamento europeo sulla base dell’intesa raggiunta a inizio anno con il Consiglio. Un provvedimento che punta a rafforzare la disciplina comunitaria in materia, promuovendo un’azione più decisa sul fronte della decontaminazione, ma anche estendendone lo scopo su fronti come riuso, efficienza energetica e decarbonizzazione. Il testo approvato dall’eurocamera, che ora dovrà solo ottenere il via libera formale del Consiglio, estende il campo di applicazione della direttiva, che passa dagli attuali agglomerati con 2000 abitanti equivalenti a 1000. Entro il 2035 gli Stati membri dovranno dotarsi di sistemi di collettamento dei reflui anche nei nuovi agglomerati interessati, mentre deroghe saranno previste per gli Stati che abbiano fatto il loro ingresso nell’Unione dopo il 2004 o il 2006.
Sempre entro il 2035 gli agglomerati urbani superiori a 1000 abitanti dovranno dotarsi di trattamento secondario (per la rimozione della materia organica), mentre il trattamento terziario (rimozione di fosforo e azoto) e quello quaternario (microinquinanti) saranno obbligatori rispettivamente dal 2039 e dal 2045 per tutti gli agglomerati superiori ai 150mila abitanti equivalenti e, dal 2045, per i soli agglomerati da 10mila abitanti che scaricano in zone a rischio. Proprio per finanziare l’installazione di tecnologie di trattamento quaternario entro la fine del terzo anno dall’entrata in vigore della nuova direttiva – quindi con ogni probabilità entro la fine del 2028 – gli Stati membri dovranno assicurare l’istituzione di regimi di responsabilità estesa del produttore per l’industria cosmetica e farmaceutica, che dovranno contribuire almeno all’80% dei costi aggiuntivi. Per tracciare la presenza di inquinanti nei reflui, e misurare gli sforzi necessari a rimuoverli, la nuova direttiva chiede agli Stati membri di garantire un “rigoroso monitoraggio” della presenza, tra gli altri, di PFAS, microplastiche e antibiotici.
La previsione di una copertura economica solo parziale dei trattamenti avanzati tramite i sistemi EPR lascia l’amaro in bocca all’associazione europea dei gestori idrici EurEau, che pur considerando l’adozione della nuova direttiva come “una pietra miliare nel percorso dell’Ue per salvaguardare la risorsa idrica”, ha ricordato che la limitazione dei contributi dell’industria all’80% dei costi aggiuntivi “non tiene conto della necessità di salvaguardare l’accessibilità economica dei servizi essenziali come i servizi idrici”. La quota dei costi di investimento per i nuovi sistemi di trattamento non coperta dall’EPR andrà infatti caricata sulle tariffe idriche. Una scelta che i colegislatori, cedendo alle pressioni dell’industria farmaceutica, hanno motivato con la necessità di non gravare in maniera eccessiva sui costi dei medicinali. “Ci stiamo assicurando che l’impatto delle norme sull’accessibilità economica dei farmaci non sia sproporzionato“, ha infatti commentato il relatore per il Parlamento Ue Nils Torwald. Insomma, per garantire un migliore disinquinamento delle acque reflue urbane meglio avere tariffe idriche più salate che farmaci più cari, è la ricetta delle istituzioni Ue.
Tra le novità anche un obiettivo inedito di neutralità energetica: entro il 2045 tutti gli impianti di trattamento dovranno soddisfare il proprio fabbisogno con energia da fonti rinnovabili, prodotta sia dentro che fuori dal sito. Ai fini del calcolo finale, precisa inoltre l’intesa, sarà possibile acquistare fino al 35% di energia da fonti esterne all’impianto. Una formulazione più morbida di quella proposta inizialmente dalla Commissione, e sottoscritta anche dal Parlamento, secondo cui l’obiettivo del 100% di neutralità energetica andava raggiunto solo con energia ‘on site’ ed entro il 2040. Il testo della direttiva dovrà ora essere approvato dal Consiglio, che si limiterà a ratificare il testo licenziato dal Parlamento, e potrà poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Ue. L’entrata in vigore è prevista per il prossimo autunno.