Le Regioni dovranno rivedere i propri piani di gestione dei rifiuti urbani per garantire l’autonomia nel recupero dell’organico da raccolta differenziata. Per il recupero energetico ‘sì’ ad accordi di macroarea. Lo prevede la proposta di Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti presentata dal Ministero della Transizione Ecologica
Ogni Regione dovrà rendersi autonoma nella gestione dei propri rifiuti organici da raccolta differenziata, mentre potranno essere stretti accordi di macroarea con altre Regioni solo per il recupero energetico dei rifiuti indifferenziati e degli scarti non riciclabili della raccolta differenziata. Lo prevede la proposta di Programma nazionale per la gestione dei rifiuti pubblicata dal Ministero della Transizione Ecologica nell’ambito della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Il Programma, che rappresenta una delle riforme di settore previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dovrà essere adottato definitivamente entro il prossimo 30 giugno. Una volta in vigore, servirà a fissare “i macro-obiettivi, le macro-azioni, i target” e a definire “i criteri e le linee strategiche a cui le Regioni e le Province autonome dovranno attenersi nella elaborazione dei Piani di gestione dei rifiuti”, adeguandoli entro 18 mesi dall’approvazione definitiva del Programma.
Già dalle prime anticipazioni era apparso chiaro che il Programma non sarebbe stato un nuovo ‘Sblocca Italia‘, il decreto legge adottato nel 2015 dal governo allora in carica che all’articolo 35 disponeva la costruzione di nuovi impianti di incenerimento e di recupero della frazione organica nelle regioni non dotate di sufficiente capacità di trattamento. Il documento proposto dal MiTE infatti si limita a effettuare una ricognizione della produzione e gestione dei rifiuti urbani e speciali a livello nazionale e regionale, basata su dati relativi al 2019 forniti da Ispra, individuando una serie di flussi strategici caratterizzati da gap impiantistici (tra gli altri scarti non riciclabili, organico, plastiche, Raee, rifiuti da costruzione e demolizione, amianto, tessili e rifiuti sanitari) e indicando le azioni da intraprendere per colmarli e puntare al raggiungimento dei target europei. Insomma, più un ‘vademecum’ per la redazione dei piani regionali di gestione che il dettagliato e vincolante piano nazionale auspicato da molti.
Proprio come i provvedimenti attuativi dello ‘Sblocca Italia’ il Programma individua nei rifiuti urbani non riciclabili e nell’organico da raccolta differenziata le due frazioni più critiche, indicando tra le Regioni con i deficit più significativi Campania, Lazio e Sicilia. Rispetto allo smaltimento in discarica, le Regioni che non siano ancora allineate al target europeo del 10% massimo da raggiungere entro il 2035 dovranno indicare nei propri piani regionali dei target intermedi al 2023, 2024, 2026 e 2028. “Per garantire un’alternativa allo smaltimento in discarica” dei rifiuti indifferenziati e degli scarti non riciclabili il Programma invita quindi le Regioni a “considerare la preferenza alle scelte tecnologico impiantistiche volte al recupero energetico diretto senza attività di pretrattamento affinché si massimizzi la valorizzazione energetica del rifiuto”. Il fabbisogno di recupero energetico, specifica il Programma, andrà calcolato anche sulla base della “precisa conoscenza e quantificazione degli scarti prodotti dagli impianti di recupero e riciclaggio“.
I piani saranno sottoposti al vaglio del MiTE che li esaminerà sulla base di una apposita ‘checklist’. Questo per evitare quanto accaduto in passato, visto che, si legge, “si è potuta constatare una differente efficacia delle pianificazioni regionali, tra l’altro non sempre rispondente ai requisiti fissati dalle norme europee e nazionali”. Per scongiurare il rischio che le reali esigenze di trattamento siano ‘diluite’ in fase di pianificazione, il MiTE chiarisce che i singoli piani regionali dovranno essere elaborati sulla base di una dettagliata “analisi dei flussi di produzione e gestione”.
Sempre in tema di riduzione dei gap di trattamento, il Programma detta i criteri che dovranno guidare la pianificazione e realizzazione degli impianti nel rispetto del principio di autosufficienza e prossimità. I rifiuti organici da raccolta differenziata “in considerazione delle caratteristiche di biodegradabilità e fermentescibilità – si legge – devono essere gestiti all’interno del territorio regionale nel rispetto del principio di prossimità, al fine di limitarne il più possibile la movimentazione”. Stop quindi ai trasferimenti extraregionali di quella che secondo Ispra nel 2020 è stata la frazione che ha viaggiato di più sul territorio nazionale, con 1,8 milioni di tonnellate movimentate, 60mila in più rispetto al 2019. Per i rifiuti urbani non riciclabili, ovvero indifferenziato tal quale, scarti del trattamento meccanico biologico e sovvalli della selezione della differenziata, l’autonomia gestionale potrà essere invece raggiunta “anche su un territorio più ampio, da individuare come ‘macroarea’, previo accordo tra le Regioni interessate”, ma solo nel caso di avvio a recupero energetico.