A poco meno di vent’anni di distanza dall’entrata in vigore del decreto Ronchi, primo vero tentativo di sostituire la tassa rifiuti, allora Tarsu, con una tariffa, la Tia, il Ministero dell’Ambiente si prepara ad adottare l’attesissimo regolamento per stabilire i “criteri per la realizzazione di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti dalle utenze del servizio pubblico”. Obiettivo: dare nuova spinta alla transizione da tassa a tariffa, ancora oggi ferma al palo, ma anche e soprattutto colmare un vuoto normativo pesantissimo. Quello relativo ai sistemi di tariffazione puntuale dei rifiuti. Un vuoto che risale a poco meno di vent’anni fa.
Nelle intenzioni del legislatore, a far data dall’entrata in vigore del decreto legislativo 22 del 1997, tutti i comuni della Penisola avrebbero dovuto progressivamente sostituire la tradizionale tassa, modulata sulla superficie calpestabile degli immobili suscettibili di produrre rifiuti e quindi indipendente dal comportamento più o meno virtuoso del singolo contribuente, con una tariffa che invece commisurasse l’onere economico per il cittadino e per le attività produttive alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta e conferita ai servizi di raccolta. Una tariffa corrispettiva, necessaria cioè a coprire i costi dell’intero servizio. Quanto al calcolo delle quantità di rifiuti prodotte ai fini della determinazione della tariffa, il decreto riconosceva due possibilità: determinarlo in via presuntiva, ovvero ricavarlo dalla media comunale pro capite di rifiuti prodotti in un anno, oppure definirlo con precisione grazie all’adozione di appositi sistemi di misurazione su ogni utenza. In quest’ultimo caso, spiegava il decreto, la tariffa si definisce “puntuale”.
Vent’anni fa, insomma, veniva per la prima volta riconosciuta ai comuni la possibilità di dotarsi di uno strumento, la tariffa puntuale, capace di coniugare economicità, efficienza del servizio e gestione sostenibile dei rifiuti all’insegna del motto “pay as you throw”, ovvero: paga solo quello che butti. Le buone intenzioni del legislatore, però, sono rimaste quasi tutte sulla carta. La Tia, che non ha mai davvero preso piede in Italia, è stata definitivamente sostituita nel 2013 dalla Tares, sostituita a sua volta appena un anno dopo dalla Tari. Due tributi basati sulla superficie degli immobili e non sul calcolo delle quantità, quindi indipendenti dai comportamenti virtuosi di cittadini e amministratori locali. Fortunatamente, in entrambi i casi il legislatore consentiva ai comuni che nel frattempo avessero adottato la tariffa puntuale di continuare ad utilizzarla. Ma quanti sono?
Stando all’ultimo Rapporto Rifiuti Urbani redatto dall’Ispra, nel 2014 solo 102 comuni, tutti al Nord, risultavano aver applicato sistemi di tariffazione puntuale. Pochissimi, certo, ma sufficienti a spingere l’Istituto di Protezione Ambientale a scrivere nel dossier: “Risulta evidente dall’analisi condotta sui costi pro capite, come l’aumento del livello di raccolta differenziata nei comuni a tariffa puntuale coniugato ad una gestione virtuosa del rifiuto urbano si traduca in una diminuzione significativa dei costi a carico del cittadino”. In tutti gli altri comuni, invece, privati cittadini e titolari di attività economiche hanno regolarmente versato la Tari, il tributo entrato in vigore nel gennaio 2014 ed erede delle vecchie Tares e Tarsu. «Fortunatamente è uno stato di cose che non riguarda tutta l’Italia – spiega Davide Pavan, vicepresidente di Payt Italia – perché in molte realtà i sistemi di misurazione puntuale sono decollati ed hanno dimostrato con i fatti di essere realizzabili e praticabili. Forse è mancata un po’ d’iniziativa, di coraggio, di spinta, soprattutto da parte della politica. Ci sono territori – aggiunge Pavan – in cui volutamente si è fatto a meno di spingere sul modello della tariffa puntuale, dormendo sugli allori dei risultati conseguiti con i sistemi tradizionali. Speriamo che con la nuova regolamentazione si dia l’impulso necessario a fare della tariffazione puntuale un obbligo cogente, che non venga più procrastinato».
Lo spettro del rinvio, infatti, è sempre dietro l’angolo. Del resto, quella della tariffa puntuale è una storia fatta quasi esclusivamente di appuntamenti mancati e scadenze prorogate. Le formule per il calcolo della quota variabile della tariffa rifiuti (ovvero quella che cambia a seconda delle quantità conferite al servizio pubblico, da sommare ad una quota fissa a copertura delle spese essenziali e d’investimento) furono disciplinate nel 1999 con il Dpr 158, la prima – e tuttora unica – forma di regolamentazione nazionale in materia. Ad oggi però, pur avendo definito i criteri di calcolo, il legislatore non ha ancora chiarito come debbano strutturarsi i sistemi di misurazione puntuale o in che modo questi debbano correlarsi ai criteri stabiliti nel Dpr 158. In assenza di una disciplina precisa, i comuni che hanno scelto di puntare su sistemi di misurazione puntuale lo hanno fatto in via sperimentale. L’emanazione di un apposito regolamento ministeriale, invocato per quasi vent’anni da associazioni ed operatori di settore e più volte annunciato, è stata puntualmente, è proprio il caso di dirlo, rimandata a data da destinarsi.
L’ultimo, paradossale rinvio è arrivato il 2 febbraio scorso con l’entrata in vigore della legge “Green Economy” – l’ex Collegato Ambientale – che ha modificato il comma 667 articolo 1 della Legge di Stabilità 2014, stando al quale entro giugno dello stesso anno il Ministero dell’Ambiente avrebbe dovuto adottare il nuovo regolamento ad integrazione del Dpr 158. Una modifica decisamente pasticciata, visto che nella sua formulazione definitiva, sfuggita all’occhio attento dei deputati e senatori che a lungo hanno lavorato sul testo, l’articolo 42 della legge “Green Economy” ha sì prorogato il termine dell’adozione di ulteriori 6 mesi, ma dalla data di entrata in vigore della sopraccitata Legge di Stabilità, spostandolo dunque al dicembre 2014. Di fatto, insomma, la proroga è servita soltanto a rivedere al ribasso il ritardo accumulato dal Ministero. Che ammonta ormai a più di un anno rispetto ai termini stabiliti per legge, nonostante la “sforbiciata” disposta dall’ex Collegato Ambientale.
Ad ogni modo, l’attesa sembra finalmente destinata a finire. La bozza del nuovo regolamento è stata messa a punto dagli uffici tecnici del Ministero dell’Ambiente ed è tuttora al vaglio degli addetti ai lavori. Probabile l’adozione definitiva entro la fine del 2016. Sul testo, però, c’è ancora da lavorare. «Abbiamo discusso a lungo su questa bozza – racconta Pavan – riscontrandovi diversi problemi. L’aspetto più significativo lo si ritrova già nei primi articoli, che limitano il discorso della misurazione alla sola quota variabile dei rifiuti, lasciando invece intendere che tutto il resto, ovvero la quota fissa, debba rimanere ancorata ai vecchi parametri del Dpr 158, quindi ad esempio alla misura della superficie. La nostra visione è quella di un superamento di questi parametri con l’adozione di criteri più legati alla qualità del servizio ed all’effettiva produzione di rifiuti. Ci sono poi altri aspetti più tecnici ai quali abbiamo cercato di rispondere con una proposta integrata che non stravolga l’impianto del decreto che, ad ogni modo, ci è sembrato snello e mirante a risultare compatibile con le varie realtà sul territorio nazionale. A breve incontreremo il Ministero per presentare in maniera più compiuta le nostre proposte».
Senza dimenticare che a beneficiare dei risparmi garantiti dall’applicazione di sistemi di misurazione puntuale dei rifiuti non sono solo i privati cittadini, ma anche le attività economiche ricadenti sul territorio del comune che ha scelto di passare da tassa a tariffa. «I vantaggi per le aziende sono innegabili – spiega Elisabetta Martignoni, membro del consiglio direttivo di Payt Italia – dal momento che in primo luogo si evita quella difficoltosa contrattazione tra pubblico e privato per la definizione delle superfici e la loro correlazione con la produzione di rifiuti speciali prodotti o eventualmente avviati a recupero direttamente dall’attività economica in questione. Un meccanismo, quest’ultimo, che porta a costruire il tributo in maniera molto articolata e, spesso, non realmente legata alla produzione effettiva di rifiuti. Con i sistemi di misurazione puntuale – prosegue Martignoni – si perviene invece ad una effettiva misurazione degli scarti prodotti dalle aziende e, quindi, ad una quantificazione del dovuto più vicina alla realtà e più soddisfacente per le imprese. Senza dimenticare che alla tariffazione corrispettiva comprende anche una quota di imponibile e di Iva, con la possibilità quindi per le attività economiche produttrici di rifiuti, laddove fiscalmente consentito, di dedurre l’imposta sul valore aggiunto».
Lungo il percorso verso un’Italia unita all’insegna del “pay as you throw”, resta però da superare un ostacolo di non poco conto: quello dei sistemi di raccolta rifiuti. L’adozione di metodi di misurazione puntuale infatti non può prescindere dalla messa a punto di schemi di raccolta porta a porta, gli unici in grado di garantire agli operatori del servizio la possibilità di registrare in maniera agevole quantità e qualità dei rifiuti conferiti dalle singole utenze. Cosa difficile se non impossibile da farsi all’interno dei tradizionali schemi di raccolta basati sul modello stradale. Per i comuni in difficoltà con l’estensione del porta a porta a tutte le utenze (Napoli, Roma e Genova, per citare alcuni comuni tra quelli di maggiori dimensioni) la tariffa puntuale rischia insomma di rimanere un lontano miraggio. «In molti casi possono venire in aiuto la tecnologia e sistemi di gestione alternativi. Basti citare ad esempio il fatto che lo stesso Ministero nella bozza di regolamento abbia previsto modalità di conferimento dei rifiuti per “aggregati di utenze”, utilizzando cioè sistemi che, pur mettendo assieme i rifiuti prodotti da più utenze in modo tale da agevolare la raccolta, garantiscano l’applicazione di criteri di ripartizione delle quantità conferite e, quindi, l’applicazione della tariffa per ogni singolo utente. C’è bisogno di ragionare sulle varie realtà e sulla fattibilità concreta dei sistemi di misurazione puntuale – conclude Elisabetta Martignoni – ma è fuori di dubbio che le soluzioni possano essere trovate».
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