La riunione del tavolo della Conferenza Stato-Regioni si chiude con una ulteriore nuova versione del decreto attuativo dello Sblocca Italia e del suo articolo 35 con il quale il Governo a fine 2014 puntava ad ottimizzare i flussi di rifiuti verso i termovalorizzatori esistenti e ad identificare il fabbisogno impiantistico sul territorio nazionale facendo assurgere a siti di interesse nazionale quegli stabilimenti nuovi, da ultimare o da portare a pieno regime. Dopo oltre un anno, però, a dispetto del termine di 90 giorni (ampiamente scaduto) dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale, lo scontro con gli equilibri politici e con le opposizioni dei territori fa registrare un ennesimo rinvio e – in attesa di poter leggere il testo definitivo – quello che appare come un sostanziale depotenziamento del decreto.
La bozza giunta in Conferenza prevedeva 9 nuovi impianti rispetto ai 12 precedentemente pianificati, senza rivedere il fabbisogno nazionale, ma sostanzialmente affidandosi alla capacità delle strutture già esistenti nella “macroregione” settentrionale di far fronte al fabbisogno residuo individuato in Liguria, Veneto e Piemonte (dove avrebbero dovuto sorgere i nuovi termovalorizzatori poi stralciati). Il numero di impianti è poi sceso addirittura a 8 nell’ultima versione (ancora non è noto quale sia stato depennato) incontrando un parere favorevole a maggioranza, ma non all’unanimità. Stando agli uffici della Conferenza a dire di sì sono state 15 regioni; contrarie Lombardia, Marche, Umbria, Abruzzo e Molise. Il presidente dell’Ente e governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha tuttavia sottolineato che si tratta di un parere favorevole condizionato dal recepimento di due emendamenti, il cui merito è stato chiarito da Fulvio Bonavitacola, assessore all’Ambiente della Regione Campania (con delega ai Trasporti in Conferenza): l’accoglimento degli emendamenti «prevede – ha spiegato Bonavitacola – che la ricognizione effettutata dal Governo sui nuovi impianti abbia carattere ricognitorio, che sia soltanto una fotografia della situazione secondo il fabbisogno all’attualità, ma che le decisioni sulla realizzazione degli impianti e la pianificazione spettino alle Regioni attraverso i rispettivi piani di gestione in considerazione del trend di crescita della raccolta differenziata».
Ed è proprio qui che potrebbe maturare il depotenziamento: nel testo arrivato ieri in Conferenza c’era un comma all’art. 6 con la quale si apriva ad una revisione periodica delle previsioni del Decreto, ma solo “in presenza di variazioni documentate”, e cioè a consuntivo e non rimettendosi agli obiettivi virtuali dei piani regionali. L’emendamento chiesto dalle regioni, invece, sembrerebbe chiedere che la necessità degli impianti si verifichi dopo una proiezione sui fabbisogni futuri e in relazione ai piani regionali. Resta quindi da chiarire e da sciogliere il nodo relativo a quelle regioni, come appunto la Campania, che hanno detto un “no” secco a nuovi termovalorizzatori e, pur non avendo ancora aggiornato il loro piano rifiuti, ieri hanno approvato (con le riserve di cui sopra) la bozza di dpcm uscita dalla Conferenza.
In attesa del testo definitivo pare che invece non sia stato toccato un passaggio che punta proprio ad attenuare la conflittualità con Lombardia ed Emilia Romagna: un comma prevederebbe la possibilità di tenere in considerazione le politiche in atto relative alla dismissione di impianti per le sole Regioni caratterizzate da una sovraccapacità di trattamento. In altre parole chi, come l’Emilia nel suo piano di recente approvazione, ha riorganizzato i flussi di rifiuti sul proprio territorio per dismettere degli impianti, non verrà ostacolato e quegli inceneritori non saranno annoverati nella rete nazionale a disposizione del Ministero.