Dai 38 articoli del nuovo Testo Unico sui servizi pubblici è sparita l’abolizione della privativa comunale sui rifiuti. La soppressione dei regimi di esclusiva doveva essere uno dei pilastri della riforma Madia, ma dal decreto sembra esserne venuta fuori a malapena un’anestesia. La bozza circolata nel mese di gennaio, in un passaggio dedicato proprio alla raccolta rifiuti sul territorio urbano, riportava esplicitamente l’inserimento nel Testo Unico Ambientale di un nuovo comma che avrebbe posto fine al regime di privativa dei Comuni sulla gestione degli rsu avviati a smaltimento. Un taglio netto che avrebbe imposto a partire dal 31 dicembre 2016 (questa la deadline prevista dalla bozza) la piena apertura al mercato dell’affidamento dei servizi da parte delle amministrazioni locali, obbligandoli a svolgere delle procedure di gara. La bozza entrata nel consiglio dei ministri dello scorso 20 gennaio, però, almeno su questo fronte ne è uscita smussata. Per entrare nel merito dei decreti attuativi si è dovuto attendere oltre un mese, poiché soltanto lo scorso 26 febbraio la Ragioneria Generale dello Stato ha certificato l’esito positivo del pacchetto di misure approvate in esame preliminare dallo stesso Cdm. Solo così è stato possibile appurare definitivamente che ogni termine di scadenza sugli affidamenti in regime di esclusiva per i servizi pubblici locali era stato cancellato dal testo. Al suo posto sembra tuttavia intervenire l’art.7 del decreto.
Come spiega la relazione illustrativa del Governo, infatti, l’articolo dopo aver aperto il ventaglio delle possibili modalità di affidamento dei servizi, si sofferma sugli affidamenti in house o di gestione mediante azienda speciale. Tali affidamenti “diretti” rimangono, ma farvi ricorso per l’amministrazione significherà dover dar conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato (e per i servizi a rete, tra i quali si annovera per l’appunto la gestione del ciclo rifiuti stando alle definizioni precisate dal decreto, sarà obbligatorio allegare anche un piano economico-finanziario). In altre parole nell’affidare l’appalto ad una municipalizzata, il Comune dovrà spiegare bene perché fosse sconveniente sottoporre l’appalto per l’affidamento del servizio ad una procedura di gara pubblica, sia in termini di efficienza che di economicità. Ma non solo: bisogna motivare anche l’eventuale scelta di non suddividere in lotti il servizio da affidare, sempre per consentire la moltiplicazione e la diversificazione delle imprese in favore di un principio di “concorrenza comparativa”. In altre parole gli affidamenti diretti, oggi sostanziale prassi per gli Enti locali (almeno per i servizi di raccolta e smaltimento degli rsu), vengono inquadrati dal decreto come eccezioni da motivare, alternative a procedure aperte e trasparenti. A sancire questo principio, l’obbligo – in caso di affidamenti in house o di gestione mediante azienda speciale, appunto – da parte dell’amministrazione di sottoporre lo schema di atto deliberativo e la documentazione obbligatoria di cui sopra all’Agcm, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che a sua volta deve esprimere entro trenta giorni un parere su quell’affidamento.
Curioso che venga tirata in ballo proprio l’Antitrust, che solo due settimane fa si era espressa sulla necessità di rivedere il sistema di gestione degli rsu sul territorio nazionale, con particolare enfasi sull’impatto negativo della privativa comunale con eccessivo ricorso – peraltro – al principio dell’assimilazione. L’inversione di filosofia contenuta da questa formulazione del Testo Unico sui servizi pubblici locali si presenta come potenzialmente efficace in questo senso, tuttavia è impossibile prevedere se la scelta di “ammorbidire” l’azione di contrasto alla privativa comunale si tradurrà in una maggiore garanzia per il servizio pubblico oppure – attraverso i vari obblighi di certificazione – nell’ennesima deriva burocratica del Bel Paese, magari svuotata dei dovuti controlli. Il giudizio sull’efficacia del provvedimento resta quindi inevitabilmente da sospendere fino alla prova dei fatti.
L’altro fronte è quello dell’articolo 16, che invece contiene una conferma rispetto alla bozza di gennaio, oltre ad essere in linea con il dettato dell’Antitrust: l’istituzione dell’Authority sui rifiuti. Esattamente come anticipato due mesi fa, le funzioni di regolamentazioni sul waste management pubblico saranno affidate ad un ente che – senza ulteriori oneri per la finanza pubblica – risulterà dall’estensione delle competenze dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico e che si chiamerà ARERA (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente). Il nuovo Ente si avvarrà di poteri per l’emanazione di direttive per la separazione contabile e amministrativa della gestione dei rifiuti, per definire i livelli di qualità degli stessi servizi, per porsi a tutela dei diritti degli utenti accogliendone e valutandone i reclami, per verificare la corretta redazione dei piani di gestione da parte degli enti di governo degli ambiti territoriali (i piani d’ambito) e infine per fissare i criteri di definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento, in modo di fungere da “calmiere”. Ma soprattutto, ed è a questo lo spirito della legge, uniformare i parametri del rapporto tra spesa e servizi per i cittadini riconducendo allo Stato un ruolo di regia abbandonato da troppo tempo.