Giro di vite dell’Ue sulle spedizioni di rifiuti verso Paesi terzi e regole armonizzate per agevolare la circolazione tra Paesi membri. La proposta di regolamento, ora al vaglio di Consiglio e Parlamento, si applicherà a partire dal 2024. All’allarme dei riciclatori la Commissione risponde scommettendo sull’aumento della domanda interna
Norme più rigorose sulle esportazioni di rifiuti, un sistema più efficiente per la circolazione degli scarti da utilizzare come risorsa all’interno dei confini dell’Ue e un’azione decisa contro il traffico illegale. Questi i tre obiettivi della proposta di modifica al regolamento sulle spedizioni di rifiuti adottata oggi dalla Commissione europea. Il provvedimento, che ora dovrà essere sottoposto al parere del Consiglio e del Parlamento dell’Ue e che diventerà operativo a tre anni dall’entrata in vigore, si inscrive nell’ambito delle misure attuative dell’European Green Deal e del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare e riscrive le regole delle esportazioni di rifiuti per agevolare la circolazione dentro i confini dell’Unione e limitare invece le spedizioni verso Paesi terzi, soprattutto quelli non OCSE. Nel 2020, stando ai dati Eurostat, l’Ue ha esportato circa 33 milioni di tonnellate di rifiuti verso paesi non-Ue e ne ha importati circa 16 milioni di tonnellate, mentre ogni anno le spedizioni tra Paesi Ue movimentano quasi 70 milioni di tonnellate.
E se una buona fetta delle esportazioni verso Paesi non Ue ha riguardato materia recuperata da rifiuti, come carta da macero o rottame metallico da utilizzare in sostituzione di materiali vergini nei cicli produttivi, secondo la Commissione campagne di controllo coordinate indicano che tra il 15% e il 30% delle spedizioni “potrebbe essere illegale, per un importo di 9,5 miliardi di euro”. Complessivamente, dal 2004 a oggi le esportazioni sono aumentate del 75%. Numeri che, dice l’esecutivo, mettono in luce “la fragilità di un modello di business in cui l’esportazione di rifiuti al di fuori dell’Ue è diventata un modo comune di gestire alcuni flussi di rifiuti generati nell’Ue”. Motivo per cui la proposta di revisione del regolamento prevede che le esportazioni verso i Paesi non-OCSE siano subordinate alla richiesta ufficiale del Paese di importare rifiuti non pericolosi dall’Ue e alla dimostrazione di poterli recuperare in modo corretto. A questo scopo, spiega la Commissione, “verrà creato un elenco di Paesi autorizzati a importare rifiuti dall’Ue”. I flussi saranno quindi sottoposti a monitoraggio costante e nel caso in cui non fosse possibile ottenere garanzie sul loro trattamento sostenibile si provvederà a sospenderne l’esportazione. In più, spiega la Commissione, per essere autorizzate all’esportazione fuori dall’Ue le imprese europee che commerciano rifiuti dovranno effettuare audit indipendenti con l’obiettivo di dimostrare che le strutture che li ricevono “siano in grado di trattarli in modo ecologicamente corretto”.
Sul fronte del commercio interno, invece, la Commissione punta a rivedere le procedure amministrative che “limitano la circolazione dei rifiuti tra gli Stati membri” rallentando “il passaggio a un’economia circolare su scala dell’Ue”. La proposta mira alla piena digitalizzazione delle procedure e alla creazione di una ‘fast track’ per gli scarti destinati a recupero in impianti certificati dagli Stati membri, mentre condizioni più stringenti si applicheranno all’invio a incenerimento o a smaltimento in discarica, che saranno autorizzati solo in casi limitati e “ben giustificati”. Ma il nuovo regolamento punta anche all’armonizzazione della classificazione dei rifiuti nei vari Stati membri “per aiutare a superare l’attuale frammentazione del mercato dell’Ue – spiega la Commissione – dove una spedizione di rifiuti può essere soggetta a diverse interpretazioni e procedure quando attraversa le frontiere”. Parallelamente, sarà snellito il calcolo delle garanzie finanziarie che gli operatori devono costituire prima della spedizione all’estero dei rifiuti ‘notificati’.
Nelle scorse settimane l’annuncio del giro di vite sulle esportazioni verso i Paesi extra Ue aveva messo in allarme le imprese del riciclo. preoccupate dalle conseguenze di una maggiore disponibilità di materiali recuperati da rifiuti sul mercato dell’Unione a fronte della non commisurata domanda da parte delle manifatture e delle industrie europee. “In fase iniziale il contraccolpo sarebbe prevalentemente economico, perché questo spingerebbe i prezzi verso il basso – spiega Cinzia Vezzosi, presidente di EuRic – quello che ci preoccupa di più però è che un prezzo al ribasso sul territorio europeo potrebbe far diventare quei materiali poco appetibili per il riciclo, rendendo non più redditizio investire in attività di raccolta, cernita e processamento”. Il rischio insomma è che le imprese chiudano e che i rifiuti, piuttosto che essere riciclati, finiscano a smaltimento. O peggio. Timori ai quali la Commissione risponde garantendo alle imprese un periodo ‘cuscinetto’ di tre anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento fino alla sua piena applicazione, per sondare con attenzione i canali dell’export e, nel caso, “prepararsi a indirizzare i flussi di rifiuti verso un trattamento più sostenibile”.
Ma Bruxelles punta anche e soprattutto sull’aumento della domanda interna. “Non dovrebbero esserci grandi sfide per l’industria dell’Ue nel trattare quantità aggiuntive di metalli ferrosi, metalli non ferrosi e rifiuti di carta, che rappresentano la quota più elevata di rifiuti attualmente esportati al di fuori dell’Ue. Le industrie che trattano tali rifiuti stanno già riciclando volumi considerevoli e hanno la capacità di gestire quantità aggiuntive“. Anche perché, sostiene la Commissione, “molte industrie stanno anche pianificando investimenti per aumentare l’assorbimento dei rifiuti nei loro processi produttivi, che è una caratteristica chiave della loro strategia di decarbonizzazione“. Un processo che secondo i riciclatori ha bisogno di essere sostenuto con un sistema di stimoli e incentivi. “Serve un mercato vero per i materiali da riciclo – spiega Vezzosi – perché va da sé che se non potremo più portarli all’estero avremo la necessità di aumentare la domanda sul territorio. Uno strumento utile sarebbe l’introduzione di quote di contenuto minimo di materia riciclata nei nuovi prodotti per i principali ‘stream’ che oggi vengono esportati”.
Per frazioni critiche come le plastiche o i tessili, che oggi vengono avviate a riciclo solo in parte all’interno dei confini dell’Ue e che risultano tra le principali categorie di rifiuto oggetto di traffico illegale, l’esecutivo si dice invece fiducioso che la combinazione tra i fondi del programma Next Generation Eu e le misure attuative del nuovo Piano d’azione sull’economia circolare riuscirà a tradursi in un aumento della capacità di riciclo nei Paesi membri. Fermo restando che anche in quel caso resterebbe da sciogliere il nodo della domanda di materia riciclata da parte delle manifatture e delle industrie, incognita principale dell’intera operazione, che è a tutti gli effetti una scommessa sul futuro dell’economia circolare in Europa. Una scommessa da vincere ad ogni costo. In caso contrario, a rimetterci per primi sarebbero proprio i riciclatori.
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