Secondo l’Agenzia delle Entrate, in caso di tariffa rifiuti corrispettiva le nuove componenti perequative di ARERA devono essere assoggettate all’IVA. Ma il prelievo rischia di generare iniquità, complicazioni e contenziosi
Sedici centesimi di euro. Che nel più classico degli effetti valanga rischiano di diventare un incubo burocratico pronto a travolgere enti locali e gestori del servizio rifiuti. Oltre che un elemento di disparità tra utenti. Dopo essere state definite come una potenziale “tassa impropria” dai Comuni, le due nuove componenti perequative della TARI, introdotte da ARERA e applicabili dal 1 gennaio di quest’anno, tornano a far discutere. Stavolta a riaccendere il fuoco delle polemiche è l’Agenzia delle Entrate, che nella risposta all’interpello di una utility ha equiparato le componenti – da applicare a ogni utenza come maggiorazione dei corrispettivi per il servizio per garantire la copertura dei costi di gestione dei rifiuti accidentalmente pescati (0,10 euro a utenza) e delle agevolazioni per gli eventi calamitosi (1,50 euro) – agli oneri di sistema delle bollette energetiche. Assoggettando quindi le due due componenti al calcolo dell’imponibile IVA in caso di TARI corrispettiva e di fatto maggiorandole del 10% per tutte le utenze interessate. Per un totale di 0,16 euro da prelevare su ogni utenza, appunto.
Non un salasso, certo. Il problema tuttavia non è l’importo del prelievo quanto il fatto che il meccanismo disegnato dall’Agenzia rischia di rivelarsi iniquo. Se non addirittura illegittimo. “La Cassazione ha stabilito che nel caso dell’energia gli oneri di sistema servono a garantire l’efficienza del servizio nel suo complesso – spiega Gaetano Drosi, amministratore unico di Softline – mentre le componenti perequative servono a coprire voci di costo ben definite, che vengono spalmate sull’intera collettività”. E infatti è previsto che l’Autorità possa rivederle di anno in anno sulla base dei costi di gestione dei rifiuti pescati o di quelli generati da eventi come alluvioni o terremoti su tutto il territorio nazionale. “È una sorta di tassa di scopo – dice – non c’è un rapporto diretto, di natura corrispettiva, tra il rifiuto prodotto e l’utente che l’ha prodotto”.
I maligni potrebbero pensare a una forzatura per fare cassa in vista di una legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue, ma basta un calcolo a spanne per farsi un’idea della esiguità delle cifre in ballo. “La TARI corrispettiva è applicata solo da una parte dei circa 1.200 Comuni in tariffa puntuale – chiarisce Drosi – se fosse un terzo, dovremmo considerare un milione circa di utenze, da moltiplicare per l’IVA applicata alle due componenti”. I famosi 0,16 euro, che moltiplicati per un milione diventano 160.000 euro. Ciò significa che se anche tutti i comuni in tariffa puntuale applicassero la TARI corrispettiva, cosa che non è, “facendo un conto spannometrico viene fuori qualche centinaio di migliaia di euro“.
Difficile insomma che l’obiettivo possa essere quello di dare linfa alle casse dello Stato, per quanto dissanguate queste possano essere. Quello che è certo è che l’intervento dell’Agenzia apre un nuovo fronte fatto di incertezze e potenziali contenziosi. “Chi non ha applicato finora l’IVA – si chiede Drosi – verrà ritenuto un evasore? Cosa dovrà fare il gestore, inviare a ogni utente un bollettino da 0,16 euro oppure rimandare alla prossima fattura?” Tra controversie e burocrazia il costo per gestori ed enti locali rischia di superare di gran lunga i benefici per le casse dello Stato. “La sensazione è che sia stata posta una domanda giusta al soggetto sbagliato – dice Drosi – prima di rivolgersi all’Agenzia delle Entrate bisognava chiedere ad ARERA di chiarire la natura delle due componenti”. E non solo, visto che il vuoto di chiarezza lasciato dall’autorità di regolazione non riguarda esclusivamente la natura fiscale delle componenti perequative ma molti dei loro aspetti applicativi, come denunciato nei mesi scorsi anche da ANCI. “Si va a interpretazione – spiega Drosi – generando una miriade di metodi applicativi su componenti che andavano meglio definite nel momento stesso in cui sono nate”.
Il clima di incertezza che da mesi avvolge i meccanismi di perequazione rischia insomma di vanificarne il nobile scopo. E la lettura dell’Agenzia delle Entrate potrebbe trasformarli, paradossalmente, da strumento nato per garantire la gestione solidaristica dei rifiuti in un elemento di disparità tra utenti. “La maggioranza delle utenze, che sono soggette a TARI, non pagherebbe l’IVA, mentre chi si trova in un regime di tariffa corrispettiva si troverebbe svantaggiato. Il problema non sono le cifre, chiaramente, ma il principio“. Un intervento di ARERA potrebbe servire a risolvere la questione? “No – spiega Drosi – anche perché una volta che l’Agenzia ha parlato, se non applichi quello che dice sei passibile di accertamento. È un nodo che ora tocca allo Stato sciogliere. Nella norma che ha istituito la perequazione (la legge ‘salvamare’, ndr) bisognerebbe chiarire che le componenti non sono di natura corrispettiva“. A questo punto la questione non è più di capacità tecnica o regolatoria ma di volontà politica. Basteranno sedici centesimi di euro a metterla in moto?