La Conferenza delle Regioni chiede un intervento dello Stato per mettere ordine nel caos delle sentenze sul sistema degli impianti minimi di ARERA. Fregolent: “Il Ministero dell’Ambiente si faccia carico di trovare la soluzione”. Ma le imprese del riciclo avvertono: “No a limitazioni della concorrenza”
Le Regioni chiedono allo Stato di mettere ordine nel caos delle tariffe scatenato dalla pioggia di sentenze contro il sistema degli ‘impianti minimi’ di chiusura del ciclo rifiuti messo a punto da ARERA. “Ad oggi le regioni che hanno individuato gli impianti minimi, e che quindi stavano procedendo alla definizione di un piano economico per le tariffe applicabili, hanno subito uno stop che sta determinando effetti sui costi della raccolta dei rifiuti, principalmente in relazione alla frazione organica” ha sottolineato Marco Porcu, coordinatore della commissione ambiente della Conferenza delle Regioni, ascoltato oggi nell’ambito del ciclo di audizioni sulla risoluzione presentata dalla senatrice Silvia Fregolent per valutare una eventuale modifica del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti alla luce dei recenti pronunciamenti dei TAR regionali. “Bisogna intervenire – ha dichiarato Fregolent – non è possibile lasciare che siano solo le sentenze a parlare”.
L’applicazione del sistema introdotto da ARERA per ‘calmierare’ le tariffe nelle regioni meno dotate di impianti di chiusura del ciclo rifiuti (compostaggio, inceneritori e discariche) è stata sospesa per effetto di una raffica di sentenze del TAR – quattro in Lombardia e una in Emilia-Romagna, quest’ultima confermata anche dal Consiglio di Stato – nelle quali i giudici hanno valutato come illegittima la potestà conferita da ARERA alle Regioni di attribuire la qualifica di ‘minimi’ agli impianti di chiusura e di sottrarli al regime del libero mercato per assoggettarli, in nome del principio di prossimità e autosufficienza, a un sistema di flussi prestabiliti e tariffe concordate. Secondo i giudici, infatti, solo lo Stato può indicare quali impianti sono ‘minimi’, cioè indispensabili a garantire il trattamento dei rifiuti sul territorio, ed eventualmente prevedere per questi un sistema tariffario agevolato.
Ecco perché, dicono le Regioni, serve un intervento normativo a livello nazionale che regoli in maniera definitiva l’applicazione del meccanismo di ARERA, “con la previsione di un sistema misto che possa consentire di individuare gli impianti minimi nelle regioni più in ritardo per accompagnarle verso il libero mercato“, ha specificato Porcu. Parole che suonano come l’ennesimo appello, indirizzato al Ministero dell’Ambiente, per una revisione del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti che espliciti una volta per tutte, e in maniera puntuale, i fabbisogni territoriali di trattamento dei rifiuti da soddisfare, e indichi gli impianti da considerare come ‘minimi’ nelle regioni meno infrastrutturate, restituendo solo a queste ultime la possibilità di accedere a tariffe agevolate in via transitoria fino alla realizzazione di un sistema impiantistico adeguato.
Se gli enti territoriali chiedono al legislatore nazionale di riabilitare – dopo averlo regolato in via definitiva – il sistema di ARERA, le imprese private ribadiscono invece il fermo no a qualunque forma di limitazione della concorrenza sul mercato dei rifiuti differenziati avviati a riciclo, visto che la normativa stabilisce che questi possono viaggiare liberamente sull’intero territorio nazionale. “L’attività di riciclo è al di fuori di ogni privativa, quindi fuori dal perimetro della regolazione ARERA”, ha chiarito in audizione Francesco Sicilia, direttore generale di UNIRIMA, ricordando che con il pronunciamento dello scorso agosto anche il Consiglio di Stato, nel confermare la validità della sentenza del TAR Emilia-Romagna, ha specificato che il principio di prossimità agli impianti di trattamento “non comprime in maniera assoluta la concorrenza” e non può tradursi in una deroga al regime delle gare d’appalto per l’affidamento dei rifiuti differenziati. Come invece accadeva nelle regioni bacchettate dai TAR, dove i rifiuti organici venivano affidati agli impianti ‘minimi’ di trattamento in via diretta e a tariffe bloccate.
Piuttosto, ha spiegato Sicilia, se c’è una carenza impiantistica rispetto alla quale intervenire è quella relativa al recupero energetico degli scarti non riciclabili. “Mancano impianti – ha spiegato – e la cosa genera criticità concorrenziali. Tra l’altro, proprio per la carenza di impianti, le nostre imprese, soprattutto al centro-sud, sono costrette a portare i propri scarti in discarica, quando l’Ue ci dice che entro il 2035 dovremo portare lo smaltimento a un massimo del 10%. Bisogna aumentare la capacità degli impianti di recupero energetico – ha spiegato Sicilia – ma al tempo stesso anche limitare le rendite monopolistiche legate al settore”. Insomma, frazione organica e scarti non riciclabili restano i due fronti più sensibili del sistema nazionale di gestione dei rifiuti urbani, oltre che materia per avvocati e giudici amministrativi, nell’attesa di un intervento dello Stato che definisca, una volta per tutte, un assetto di mercato capace di tenere assieme regolazione e concorrenza, prossimità e libera circolazione. “La speranza è che il Ministero si faccia carico di trovare la soluzione a un problema che sta diventando esplosivo“, ha detto Fregolent.