«Un tema di per se scabroso e complesso, per di più affrontato senza competenze tecnico scientifiche e privilegiando gli interessi politici a quelli nazionali». Sono queste, secondo Massimo Scalia, docente universitario e tra i padri dell’ambientalismo scientifico in Italia, le motivazioni dei ritardi accumulati dal nostro Paese nella creazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Per il già presidente della commissione sul ciclo dei rifiuti, è chiaro che individuare un sito idoneo ad accogliere il deposito significherebbe inimicarsi le popolazioni del sito stesso e creare tensioni che non gioverebbero al Governo. Ma la questione è politicamente trasversale per Scalia, che parla della faccenda nucleare come di una patata bollente che i vari Governi si sono passati di Legislatura in Legislatura.
L’intervento nel corso di un seminario che lo stesso Scalia ha organizzato presso la sala del Primaticcio in piazza di Firenze a Roma ed al quale hanno partecipato i massimi esperti di nucleare in Italia. Non poteva mancare l’onorevole Alessandro Bratti, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che ha ribadito l’impegno della Commissione sul tema. Un impegno che si è sostanziato in diversi sopralluoghi presso depositi nazionali esteri ai quali l’Italia potrebbe guardare come esempi da seguire, nonché in una serie di audizioni e interrogazioni parlamentari che hanno permesso all’organo parlamentare di portare a casa un piccolo successo: 10 milioni di euro per la bonifica del sito Cemerad di Taranto che, dopo i ritardi accumulati anche per la mancata realizzazione del deposito unico, finalmente ha anche un nuovo commissario. «È poco – precisa Bratti – ma è un piccolo merito che la mostra Commissione vanta pur non perdendo di vista il nostro compito primario che è quello di dare impulso all’accelerazione dei lavori per l’Isin, per la pubblicazione della carta nazionale, per la definizione del programma nazionale e nel vigilare sullo stato di Sogin e Ispra».
Se per i ritardi e le diatribe interne l’Italia non fa bella figura con Bruxelles e gli altri Stati membri, di sicuro c’è addirittura da imbarazzarsi per la qualità del rapporto preliminare che i due Ministeri competenti (Ambiente e Sviluppo Economico) hanno inviato in Europa. Ad illustrarne limiti e criticità, è il consulente della Commissione d’inchiesta e già direttore del Dipartimento Nucleare Ispra, l’ingegner Roberto Mezzanotte.
«Un rapporto deludente, carente nell’impostazione, impreciso nella ricostruzione della situazione degli impianti italiani, inesatta sulla presentazione delle normative vigenti, ma, soprattutto, carente nella presentazione del deposito dei rifiuti radioattivi – è la descrizione che del documento fa l’ingegnere, che prosegue – soprattutto non viene individuata quella che sarà la soluzione finale per l’alta radioattività. Il deposito basterà a stoccare le scorie in sicurezza per 50/100 anni, ma nel frattempo bisognerà lavorare per trovare una soluzione definitiva e, il rapporto preliminare, non fa alcun cenno alla struttura permanente che bisognerà pur costruire. Carenze che hanno degli effetti immediati anche sulla sommarietà con cui vengono descritti gli strumenti tipici e utili per una Valutazione di impatto ambientale strategica. Insomma – conclude – ci troviamo di fronte la fotografia di quello che è il sistema attuale e non di quella che dovrà diventare la situazione italiana per quel che concerne i depositi esistenti e quello che occorrerà realizzare».
Insomma, la questione nucleare è ben lungi dall’essere vicina ad una conclusione, potrebbe subire tuttavia un’accelerata nelle prossime settimane. Sembra infatti che la controllata Sogin stia per trovare la quadra intorno al nome del nuovo numero 1 e si spera che, superata la fase elettorale, questo Governo abbia strumenti e numeri per pubblicare l’elenco dei siti idonei ad ospitare il deposito nazionale che, sulla carta, non avrebbe nulla da invidiare a quelli degli altri Paesi del continente.