Completare l’attuazione della disciplina sull’ecodesign dei prodotti e rafforzare i regimi di responsabilità estesa del produttore: ecco cosa prevede la “cassetta degli attrezzi” presentata dalla Commissione europea per ridurre l’impatto ambientale degli acquisti online. L’Italia, per una volta, ha giocato d’anticipo
Ridurre l’impatto economico, sociale e ambientale dei beni acquistati online dai cittadini dell’Ue anche rafforzando la disciplina della responsabilità estesa del produttore. Questa una delle azioni che la Commissione invita le istituzioni europee ad adottare nei prossimi mesi, tra quelle contenute in una comunicazione diramata oggi da Bruxelles con i punti chiave di una nuova “cassetta per gli attrezzi” per rendere più giusto e sostenibile l’e-commerce. L’obiettivo, spiega la Commissione, è allineare ai rigorosi standard europei un mercato in crescita costante, che nel solo 2024 ha mobilitato 4,6 miliardi di consegne dal valore inferiore ai 150 euro, al ritmo di 12 milioni al giorno. Il 91% delle quali provenienti dalla Cina, sulla scorta della “rapida crescita di marketplace come Temu e SHEIN“, scrive la Commissione. Piattaforme sulle quali i cittadini Ue acquistano prodotti a buon mercato che, scrive Bruxelles, in molti casi “non erano conformi alle leggi dell’Ue”, sollevando preoccupazioni per la salute dei consumatori, ma anche in termini di concorrenza sleale per i venditori, quindi di perdita di competitività dell’industria e della manifattura Ue, e sull’impatto ambientale delle spedizioni di massa.
Le misure proposte da Bruxelles dovranno trovare attuazione nell’arco del prossimo anno e vanno dal completamento della riforma delle dogane al maggiore coordinamento nei controlli di mercato, dalla promozione di strumenti e iniziative per la protezione e informazione dei consumatori alla cooperazione con i soggetti non Ue per individuare e contrastare eventuali forme di dumping. Ma la strategia immaginata dalla Commissione interviene anche sul fronte ambientale, visto che “i prezzi al dettaglio estremamente bassi su alcuni prodotti venduti online non riescono a riflettere i costi ambientali più ampi legati a produzione, spedizione diretta e ciclo di vita completo del prodotto”. Il riferimento è soprattutto ai capi d’abbigliamento venduti sui marketplace dell’ultrafast fashion e ai device tecnologici, ma anche al packaging nel quale fanno il loro ingresso in Ue, che oltre a determinare impatti rilevanti in fase di produzione e spedizione, al termine del loro “breve ciclo di vita”, scrive la Commissione, “generano problemi per la gestione dei rifiuti” visto che “con ogni probabilità le tariffe per coprire i costi di gestione non sono state pagate e che spesso questi prodotti non possono essere riciclati a causa dei materiali di cui sono fatti”.
Due le direttrici principali dell’azione di contrasto immaginata dalla Commissione. Da un lato il completamento della disciplina sull’ecodesign, prevista dal regolamento entrato in vigore lo scorso giugno, che introdurrà requisiti stringenti per l’immissione di prodotti sul mercato Ue e che il prossimo aprile approderà alla definizione della lista di beni da regolare in via prioritaria, a partire da tessile e abbigliamento. La seconda direttrice è quella del rafforzamento dei sistemi di responsabilità estesa del produttore, che a livello Ue sono già disciplinati per batterie, imballaggi, prodotti tecnologici e gas florurati a effetto serra, e che Bruxelles potenzierà nell’annunciato Circular Economy Act, in calendario per il 2026. Tuttavia, già nelle prossime settimane il perimetro del regime EPR sarà allargato al settore del tessile e dell’abbigliamento, secondo quanto previsto dalla proposta di revisione della direttiva quadro rifiuti. La riforma è attualmente in fase di trilogo con Consiglio e Parlamento, e una volta approvata – Bruxelles sollecita i co-legislatori a farlo “rapidamente” – “stabilirà l’eco-modulazione dei contributi finanziari da parte di chi colloca tessili sul mercato – si legge – maggiore è la sostenibilità, minori saranno le tariffe”. Un regime che, chiarisce Bruxelles, dovrà applicarsi anche agli operatori dell’e-commerce dentro e fuori l’Ue.
L’Italia, per una volta, si è mossa in anticipo nella direzione indicata dalla Commissione. Con la conversione in legge del decreto ‘infrazioni’, infatti, il perimetro dei regimi di responsabilità estesa del produttore è stato allargato alle piattaforme di commercio elettronico con l’obiettivo di far emergere sacche di evasione e fenomeni di free-riding da parte dei venditori che immettono sul mercato prodotti coperti da EPR. Saranno le stesse piattaforme, tramite accordi da sottoscrivere con i consorzi nazionali entro il prossimo 13 febbraio, a garantire il rispetto delle regole della responsabilità estesa da parte dei venditori. Anche con il sistema ‘pay on behalf’, in virtù del quale sarebbero gli stessi marketplace a farsi carico economicamente del versamento degli eco-contributi. Un intervento con il quale, in materia di apparecchiature elettriche ed elettroniche, il MASE punta a rendere strutturale la sperimentazione condotta tra 2022 e 2023 con Amazon e alcuni dei principali consorzi dei produttori che ha portato alla luce eco-contributi evasi per 13,6 milioni di euro, garantendo l’avvio a riciclo di ulteriori 1.500 tonnellate di pile e accumulatori e circa 45 mila tonnellate di raee. In materia di imballaggi, i nuovi accordi si applicheranno invece solo ai produttori aventi sede legale fuori dal territorio nazionale, che attualmente non sono tenuti a iscriversi al CONAI, mentre restano esclusi gli imballaggi immessi sul mercato dalle microimprese.