Nei primi sei mesi dell’anno c’è stata un’inspiegabile sovversione nel sistema di classificazione rifiuti speciali dovuto all’avvicendamento tra due classi di codici. Una schizofrenia normativa che ha creato non poco imbarazzo e ancor più gravi disagi agli operatori del comparto rifiuti fino a trovare una normalizzazione tramite l’adeguamento alle diciture europee avvenuto il primo giugno scorso. Normalizzazione che però è arrivata dopo che per circa tre mesi, e cioè a partire dal 18 febbraio 2015, le disposizioni derivanti dal decreto competitività varato nell’agosto 2014 sono intervenute disallineando la norma italiana rispetto all’inquadramento comunitario agendo direttamente sulla 152 del 2006 e riformando di fatto il relativo allegato del Codice dell’Ambiente. Il principale effetto della riforma di febbraio, caratterizzata da un principio di prudenzialità da più parti definito come eccessivo, era stato quello di modificare la classificazione rifiuti di una vasta gamma di scarti passati così per tre mesi circa da “non pericoloso” a “speciale” o “speciale pericoloso” (basti come esempio ricordare che in mancanza di dati certi sulla composizione di uno scarto bastava riscontrare la mera presenza di un solo elemento classificabile come pericoloso a prescindere dalle quantità per classificare il rifiuto come speciale pericoloso) e facendo quindi scattare una serie di autorizzazioni ed obblighi oltre che di costose procedure d’analisi per molti operatori che fino ad allora non erano stati mai sottoposti a simili adempimenti: su tutti l’obbligo di iscrizione al Sistri. Condizione tanto più imbarazzante quanto più si considera l’incidenza di tale obbligo per un periodo temporale limitato: quando la riforma del 18 febbraio è intervenuta, infatti, era noto che il primo giugno sarebbe a sua volta entrata in vigore una normativa di rango comunitario – e quindi superiore – che avrebbe nuovamente riformato i riferimenti per la classificazione rifiuti in Italia e dunque posto fine a quell’assurdo. Un imbarazzo che però si è tradotto in difficoltà fiscali e procedurali per una notevole quantità di aziende con effetti economici limitati solo in virtù – come detto – della natura temporanea del dispositivo. Nella cornice di Ecomondo 2015, ospitato come sempre dagli spazi di Rimini Fiera, abbiamo chiesto alla responsabile del servizio rifiuti dell’Ispra (l’istituto governativo di protezione ambientale), la dott.ssa Rosanna Laraia, come sia stato possibile (per il Ministero in particolare e per Governo e Parlamento in generale) varare una normativa in primo luogo disallineata rispetto a quella comunitaria, ma soprattutto palesemente disfunzionale. Un provvedimento che anche la Laraia ha definito “inspiegabile”.