Stando all’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti speciali, nel 2013 in Italia sarebbero state prodotte poco meno di 49 milioni di tonnellate di rifiuti inerti non pericolosi provenienti da costruzione e demolizione di edifici e manufatti, pari a circa un terzo dei rifiuti speciali complessivamente generati dalle attività economiche dell’intera Penisola. Il condizionale però è d’obbligo, visto che i dati sono in realtà frutto di una stima, data la carenza di informazioni specifiche sulla produzione e conferimento di rifiuti speciali cosiddetti “da C&D”, determinata dall’esenzione dei piccoli gestori dalle dichiarazioni annuali Mud sulla produzione e gestione di rifiuti, e considerata anche la pratica tristemente diffusa di abbandono illecito di questa particolare categoria di scarti.
Scarti preziosissimi per una filiera, quella della produzione di aggregati inerti da riciclo, che a partire dai materiali di risulta dei cantieri separa calcestruzzo, laterizi, murature e prodotti ceramici dalle frazioni estranee (metalli, plastiche o legno) e dopo averli frantumati, lavati e vagliati li rimette sul mercato. Materia prima seconda a disposizione delle imprese di costruzione e a vantaggio dell’ambiente, visto che riciclare gli inerti riduce la necessità di estrarne di nuovi dalle cave, contenendo l’impatto ambientale e riducendo lo spreco di materia, secondo i canoni dell’economia circolare. Lo sa bene anche l’Europa, che proprio per questo chiede agli Stati membri il raggiungimento entro il 2020 del target del 70% di riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione. Obiettivo rispetto al quale l’Italia non è messa benissimo.
«I dati ufficiali del Ministero dell’Ambiente e dell’Ispra – spiega Stefano Cicerani, segretario di Anpar, associazione nazionale dei produttori di aggregati riciclati – parlano di un 95% di avvio a riciclo. Ma si riferiscono solo alla quota di rifiuti inerti gestita in maniera legale, quelli dichiarati ufficialmente dai produttori. La verità però, come constatiamo ogni giorno con i nostri occhi, è che gran parte dei rifiuti da C&D, anche quelli contenenti amianto, non è dichiarata e viene ancora oggi abbandonata illegalmente sul territorio. Quindi, se si tiene conto dell’intera produzione, dichiarata e non, siamo molto al di sotto del target europeo». Secondo Legambiente, che nel rapporto “Recycle: la sfida nel settore delle costruzioni” pubblicato nel novembre 2015 ha provato a stimare il ritardo dell’Italia nel riciclo degli inerti, la quantità effettiva di recupero di materia “sfiora a malapena il 10%, anche se con differenze significative tra regione e regione”, ed è in ritardo rispetto agli altri Stati europei. “L’Olanda – scrive Legambiente – con il 90% dei materiali recuperati è la nazione più virtuosa, seguita da Belgio (87%) e Germania (86,3%)”.
«Il fatto che in Italia i rifiuti dichiarati vengano avviati quasi totalmente a riciclo – spiega però Cicerani – significa che anche da noi esistono impianti e tecnologie in grado di produrre aggregati riciclati di qualità, e che l’obiettivo europeo può essere raggiunto, a patto che le imprese di costruzioni conferiscano legalmente i propri rifiuti presso gli impianti autorizzati». Un ritardo pesantissimo, quello accumulato dall’Italia nei confronti del resto d’Europa, da recuperare facendo emergere la produzione sommersa di rifiuti da C&D, ma anche stimolando la domanda sul mercato degli aggregati riciclati. Facendo cioè in modo che sempre più imprese scelgano di utilizzare inerti da recupero nei propri cantieri. Già, ma come?
Con il Green public procurement (o Gpp), lo strumento normativo che detta l’obbligo per la Pubblica amministrazione di acquistare beni e servizi che rispondano a precisi parametri di compatibilità e sostenibilità ambientale. Parametri che prendono il nome di Criteri ambientali minimi (o Cam), da fissare nei capitolati delle gare d’appalto, nelle categorie di forniture già disciplinate (come illuminazione pubblica, servizi energetici ed attrezzature elettroniche, servizi di pulizia e di gestione dei rifiuti, edilizia e costruzioni) ed in quelle che saranno via via disciplinate con appositi decreti. L’obiettivo, oltre a quello di vincolare le aziende appaltatrici ad utilizzare materiali e pratiche “green”, è anche quello di fare della Pa l’apripista, il “buon esempio” capace di spingere gli altri soggetti operanti sul mercato a compiere scelte d’acquisto e di consumo sempre più improntate alla sostenibilità ambientale ed alla “circular economy”.
Del resto, è dal 2003 che la Commissione Europea invita gli Stati membri ad adottare piani di Gpp. Indicazioni che l’Italia ha recepito per la prima volta nel Dlgs 152 del 2006, il cosiddetto Testo unico ambientale, senza tuttavia dargli troppo seguito. Negli ultimi tempi però qualcosa si è mosso ed il Ministero dell’Ambiente – anche a seguito delle ripetute sollecitazioni venute dal mondo della politica, delle imprese e delle associazioni “verdi” – pare voler finalmente accelerare nel percorso verso una piena implementazione del Green public procurement. Prova ne sia l’approvazione a dicembre del 2015 della legge 221, la famosa legge sulla “Green economy”, che dedica l’intero Capo IV proprio al tema del Gpp, ridisegnandone la disciplina e rendendo gli acquisti verdi obbligatori per la pubblica amministrazione in tutti i settori già disciplinati ed in quelli che verranno indicati dal legislatore con decreto. E non è un caso che il primo decreto attuativo emanato dal Ministero dell’Ambiente dopo la pubblicazione della legge “Green economy” abbia stabilito proprio i Cam per gli appalti nel settore delle costruzioni e ristrutturazioni. Siamo forse al cambio di passo per il comparto degli aggregati riciclati?
«Il decreto rappresenta indubbiamente un momento di svolta – spiega Cicerani – anche se è solo un primo passo, visto che riguarda esclusivamente il settore edile, mentre oggi la maggiore quota di inerti riciclati viene utilizzata per le infrastrutture stradali. Ed è per questo che la nostra associazione, oltre a sensibilizzare le amministrazioni pubbliche sul tema degli appalti green, chiede ormai da anni l’emanazione di un decreto ministeriale sulle “strade verdi”, che fissi i Cam anche sugli appalti per la costruzione di strade. Ci aspettiamo che il governo acceleri sul dm. La sua adozione potrebbe davvero dare una grossa spinta al comparto del riciclo degli inerti».