Dal reporting di sostenibilità al CBAM: la Commissione europea propone un primo giro di tagli alla burocrazia e ai costi della transizione verde. Obiettivo: mobilitare investimenti aggiuntivi per 50 miliardi di euro e “raggiungere i nostri obiettivi in modo meno oneroso”, ha detto il commissario Valdis Dombrovskis
Taglio agli obblighi di reportistica e stop ai dazi sul carbonio alla frontiera per le piccole imprese. Il nuovo corso della politica industriale europea parte dalla semplificazione e dal taglio degli oneri a carico degli operatori. “Semplificazione promessa, semplificazione realizzata!”, ha dichiarato la numero uno della Commissione Ursula von der Leyen, commentando i primi due pacchetti di sburocratizzazione Omnibus I e II, presentati oggi. Attenzione, non un liberi tutti a danno della sostenibilità sociale e ambientale dell’economia Ue, avverte la Commissione, ma un passaggio necessario “per raggiungere i nostri obiettivi in modo più intelligente e meno oneroso“, come ha chiarito il commissario con delega alla semplificazione Valdis Dombrovskis. Una sforbiciata che appare decisamente radicale e che interesserà reporting di sostenibilità, tassonomia, due diligence e il CBAM. Ovvero alcuni dei pilastri del Green Deal, che non verranno demoliti, garantisce Bruxelles, ma snelliti per allinearli al nuovo corso dell’economia Ue, attento non solo alla decarbonizzazione ma anche alla competitività delle imprese.
Secondo la Commissione, le semplificazioni proposte garantiranno da un lato 350 milioni di euro di risparmi per le imprese, soprattutto medio piccole, ma anche un quadro regolatorio più attrattivo per gli investimenti, che mobiliterà 50 miliardi di euro di risorse aggiuntive dal settore pubblico e privato. Sul fronte del reporting di sostenibilità, gli emendamenti alla CSRD taglieranno dell’80% le imprese interessate: tutte le aziende con un massimo di 1.000 dipendenti e 50 milioni di fatturato saranno fuori dal campo di applicazione della direttiva, lasciando in sostanza l’obbligo in capo alle grandi imprese e preservando gli operatori di minori dimensioni integrati lungo le filiere, non inclusi nello scopo, che per fornire informazioni a soggetti obbligati e istituzioni finanziarie potranno adottare uno standard volontario. Per i soggetti obbligati vengono spostate al 2028 le scadenze previste per il 2026 e 2027 e si prevede di rivedere e semplificare gli standard esistenti di reporting di sostenibilità (ESRS).
Le modifiche alla CSRD introducono poi una deroga per le aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato inferiore a 450 milioni di euro rendendo volontaria la rendicontazione della Tassonomia e introducendo l’opzione di rendicontazione sull’allineamento parziale. In materia di Tassonomia, la Commissione propone lo snellimento dei modelli di reporting, con una riduzione dei dati di quasi il 70% e l’introduzione di una soglia di materialità che renderà non obbligatoria la comunicazione dell’allineamento per le aziende con meno del 10% di attività ammissibili. Quanto alla direttiva sulla due diligence, le modifiche proposte dalla Commissione andranno a beneficio, in particolare, delle grandi aziende che rientrano nel campo di applicazione.
L’alleggerimento dei costi della transizione in capo ai piccoli operatori economici passerà anche per la revisione del CBAM, il controverso meccanismo di adeguamento dei prezzi alla frontiera basato sull’impronta carbonica dei prodotti importati. La proposta della Commissione è quella di esentare dal meccanismo chi importi quantità ridotte, sotto la soglia delle 50 tonnellate l’anno. Una misura che taglierà fuori dallo scopo del CBAM il 90% degli operatori economici, tipicamente piccole e medie imprese e ditte individuali, ma continuando a coprire il 99% delle emissioni di CO2, garantisce Bruxelles. L’intervento è il preludio a una complessiva revisione del meccanismo da portare a termine tra 2025 e 2026 sulla base delle criticità emerse nella fase transitoria e degli allarmi per gli oneri a carico delle imprese e i connessi possibili fenomeni di ‘carbon leakage’, ovvero di delocalizzazioni produttive verso paesi con minori costi ambientali. Forse il pericolo principale tra quelli che il nuovo corso delle politiche industriali Ue punterà a scongiurare.