Continua il testa a testa tra Ministero e Regioni per l’applicazione dell’articolo 35 dello Sblocca Italia. Non sono bastati i mesi in Conferenza congiunta e le varie modifiche e revisioni del testo prima di approdare a decretazione attuativa lo scorso ottobre: il piano per la redistribuzione e il riequilibrio del potenziale dell’impiantistica di incenerimento sul territorio nazionale fatica ad essere rispettato, specie da quelle amministrazioni che dovrebbero realizzare i nuovi impianti, e resta da capire come si comporteranno Governo e Ministero (chiunque sia in carica a guidarli, a questo punto) quando i Piani emanati dai governi locali non avranno seguito le direttive pervenute da Roma.
Tra gli ultimi in ordine di tempo a rilanciare pubblicamente la loro posizione ci sono stati l’Abruzzo e le Marche. Da Pescara, che nel giro di poche ore ha siglato un protocollo d’intesa con il Conai e ha presentato le amministrazioni virtuose con Legambiente, l’assessore locale Mario Mazzocca sottolinea che «l’inceneritore non si farà», in quanto «il decreto del Governo prevede la possibilità di non realizzarlo nel caso in cui si raggiungano degli obiettivi e noi siamo vicini a questi risultati» ma che comunque «Se per un qualsiasi motivo gli obiettivi non dovessero essere raggiunti, dovranno passare sul nostro cadavere prima di realizzare un inceneritore in Abruzzo». Non esattamente una posizione di dialogo, insomma: le regioni in effetti hanno tutto il diritto di chiedere un ricalcolo del fabbisogno al 30 giugno di ogni anno, presentando una pianificazione convincente a via Cristoforo Colombo. Peccato che nessuna Regione pare altrettanto disposta ad accettare di avere anche dei doveri, sebbene i governi regionali restino a tutti gli effetti le autorità competenti in materia.
Proprio su questo sentiero – ampiamente solcato dall’assessore della Regione Lombardia Claudia Maria Terzi, pur vedendosi respingere il ricorso ben due volte – pare essersi incamminata la Giunta regionale delle Marche, che ha annunciato l’intenzione di impugnare il decreto del 10 agosto 2016 di fronte al TAR del Lazio per evitare la realizzazione sul proprio territorio di un impianto «da 190 mila tonnellate annue, sulla base di presupposti non condivisibili e non tenendo conto della programmazione regionale, peraltro già approvata dal Ministero dell’Ambiente, che esclude il ricorso a nuovi impianti di trattamento termico dei rifiuti nelle Marche» nonostante «le previsioni virtuose del Piano rifiuti regionale: e cioè la riduzione del 10,3 per cento di produzione pro capite di rifiuti urbani, la riduzione del 6,2 per cento di produzione complessiva di rifiuti e il raggiungimento della media regionale di raccolta differenziata al 73,2 per cento entro il 2020».
Alle più o meno accalorate dichiarazioni degli amministratori delle due regioni adriatiche, fanno da contraltare i freddi atti registrati nero su bianco in Regione Campania. Risale allo scorso luglio la delibera con cui la Gunta De Luca stilò l’embrione di quello che dovrebbe diventare il prossimo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti in cui, tra le altre cose, non si prevedeva alcun nuovo impianto di incenerimento. Nel frattempo il piano nazionale è diventato un decreto attuativo, ma in più di una occasione l’assessore all’ambiente e vice di Vincenzo De Luca, Fulvio Bonavitacola, ha ribadito che nella lettura di Palazzo Santa Lucia quella dello Sblocca Italia rimane una scrittura indicativa compilata sulla base di dati contestabili. Confutabilità dei dati alla base di quella programmazione a parte, si precipita verso la resa dei conti sulla natura del provvedimento. Solo dieci giorni fa, il 2 dicembre, è stato varato il decreto dirigenziale n. 229 (pubblicato con relativi allegati sul bollettino ufficiale del 5 dicembre 2016) di Valutazione Ambientale Strategica integrata con la Valutazione di Incidenza relativa proprio alla proposta di aggiornamento del Piano pubblicata a fine luglio. Nel documento si prende atto di una serie di posizioni ed obiezioni assunte da soggetti pubblici e privati chiamati a valutare la proposta della Giunta, e tra gli altri c’è anche il parere di Ispra e Ministero.
Nelle osservazioni da n. 61 a n. 65 via Cristoforo Colombo individua una serie di elementi di criticità rispetto alla previsione di uno scenario basato sul raggiungimento di una raccolta differenziata al 65% su base regionale al 2019. Il Ministero scrive chiaramente di considerare «il target di RD troppo ambizioso e difficilmente raggiungibile»: un presupposto che comprometterebbe la pianificazione tanto sul fronte del compostaggio quanto su quello del trattamento della frazione indifferenziata, dell’avvio a discarica e, per l’appunto, relativamente alla “determinazione del fabbisogno di incenerimento”. È l’osservazione n.64 a sollevare in modo particolare i dubbi del dicastero, il quale ribadisce come il calcolo di un fabbisogno residuo nell’ordine delle 300mila tonnellate annue sia stimato al netto di una capacità dell’impianto di Acerra pari a circa 600mila tonnellate annue. Una stima calcolata sui dati Ispra ai quali le previsioni di aggiornamento della Campania contrappongono un incremento strutturale del tonnellaggio in ingresso per lo stesso termovalorizzatore. Secondo il Ministero ci sarebbe bisogno di una serie di controlli ed autorizzazioni prima di varare una crescita delle capacità da 600mila a 750mila tonnellate annue e si suggerisce – se non di prendere atto della programmazione dello Sblocca Italia – almeno di inserire, a fronte di tale massimizzazione dell’impianto e foss’anche soltanto come scenario futuribile e a garanzia della continuità di servizio in caso di manutenzione, la possibilità di realizzare almeno la quarta linea del termovalorizzatore di Acerra. L’unica risposta della Campania a tale osservazione è che nel piano in fieri si riporta una stima congiunta ottenuta insieme al gestore dell’impianto stesso il cui potenziale si colloca in un range compreso tra le 580mila e le 930mila tonnellate annue di rifiuti.
Muro contro muro, insomma. Sia pure nel freddo linguaggio burocratico si percepisce la riluttanza dell’amministrazione regionale ad ammettere qualsivoglia recepibilità delle obiezioni a quello che sarà il Piano definitivo: tra le misure che il decreto dirigenziale anticipa in materia c’è solo quella con cui si prevede di «esplicitare nella Dichiarazione di Sintesi le valutazioni condivise con il gestore, in base alle quali l’impianto di Acerra può essere esercito con un carico di 750.000 t/anno». Per parte sua da via Cristoforo Colombo si fa notare che «In ogni caso, qualora si scelga di confermare lo scenario di Piano delineato, si reputa necessario che la Regione, entro il 30 giugno del prossimo anno, provveda […] a presentare, in presenza di nuova approvazione del Piano regionale, una richiesta di aggiornamento del fabbisogno residuale di incenerimento». A quel punto i nodi verranno al pettine, e staremo a vedere quale sarà la valutazione di Governo e Ministero (chi sarà a guidarli?) e come interpreteranno quel passaggio di una legge che il Parlamento ha approvato oltre due anni or sono e per cui i nuovi impianti dovevano essere da ritenersi siti di interesse nazionale.