Con 24 milioni di tonnellate sfornate nel 2017, l’Italia si conferma il secondo Paese europeo (dopo la Germania) per produzione di acciaio. Se si guarda alla sostenibilità, però, il primato è tutto italiano. “L’Italia è il secondo produttore siderurgico europeo dietro alla sola Germania – spiega Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai – ma il primo produttore europeo da forno elettrico con partenza da rottame ferroso. Giusto per fissare le idee, l’80% della produzione nazionale è con forno elettrico (contro la media europea inferiore al 40%), per un consumo di circa 20 milioni di tonnellate di rottame ferroso”.
Spinta dalla mancanza di materie prime, su tutte carbone e minerale di ferro, e dalle straordinarie proprietà del materiale, riciclabile all’infinito senza perdere le proprie caratteristiche chimico-fisiche e per questo considerato un “materiale permanente”, la siderurgia italiana ha fatto del rottame in ferro la propria chiave di volta, diventandone la prima riciclatrice a livello europeo. Una svolta che risale ai primi del ‘900, racconta Paolo Pozzato, presidente di Assofermet Rottami, “complice la disponibilità sul territorio nazionale di enormi quantità di rottame lasciate in eredità dal primo conflitto mondiale”.
In Italia insomma da cento anni fare acciaio significa riciclare. “Per le acciaierie italiane – osserva Pozzato – il mercato nazionale dei rottami è strategico. Non solo perché rappresenta il 70% del loro fabbisogno, ma anche per una questione logistica. Ormai tutte le acciaierie sono strutturate in modo da garantire consegne costanti, continue e giornaliere ai loro clienti. Alimentarsi a rottami garantisce agli impianti la necessaria regolarità di approvvigionamento”.
E visto che i due terzi degli scarti rifusi in acciaieria vengono dal mercato nazionale, va da sé che dallo stato di salute della nostra siderurgia dipende anche quello delle imprese italiane specializzate nel recupero del rottame in ferro, capaci di estrarre materia riciclabile dai più disparati flussi di rifiuti: imballaggi post consumo, residui dalle demolizioni civili e industriali, veicoli a fine vita, apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso. Dalle sole auto rottamate negli impianti di frantumazione, ad esempio, nel 2016 è stato ricavato un milione di tonnellate circa di ferro riciclabile.
Un mondo, quello della siderurgia italiana, sul quale si addensano le nubi della battaglia commerciale in atto tra Stati Uniti e Cina, anche se fino al primo maggio il dazio del 25% sulle importazioni di acciaio introdotto lo scorso 23 marzo dall’amministrazione Trump non si applicherà all’Unione Europea. Tra i paesi temporaneamente esclusi dalla misura protezionistica, e tuttora in fase di trattativa con Washington per giungere ad un’esenzione definitiva, anche Canada, Messico, Brasile, Corea del Sud, Australia ed Argentina. Si tratta di fatto dei principali partner commerciali degli States, produttori nel 2017 di quasi 21 delle 32 milioni di tonnellate di acciaio importate. Curiosamente la Cina, bersaglio designato dell’amministrazione Trump in questa “guerra dei dazi”, nello stesso anno ne ha esportate verso gli Stati Uniti solo 813mila tonnellate, appena il 2% del totale.
Il rischio che entro il primo maggio le trattative non vadano a buon fine è decisamente residuale, cosa che almeno per il momento mette l’acciaio europeo al riparo da conseguenze potenzialmente catastrofiche. Nello scenario peggiore, infatti, la revoca delle esenzioni dalle misure protezionistiche avrebbe dirottato dagli USA verso l’Europa un’autentica valanga di prodotti siderurgici a prezzi competitivi, provocando il collasso dei valori di mercato e danneggiando i produttori del Vecchio Continente. Secondo gli addetti ai lavori, invece, è di gran lunga più probabile che le esenzioni vengano riconfermate, lasciando “orfana”, stima l’associazione europea delle acciaierie Eurofer, una quantità compresa tra i 13 e i 15 milioni di tonnellate. Secondo Assofermet, le quantità di acciaio dirottato dal mercato statunitense sarebbero in realtà molto più contenute, intorno ai 6 milioni di tonnellate, visto che per molti dei paesi soggetti a dazi, come Cina e Russia, sono già operative misure anti-dumping che ne impediscono l’accesso al mercato europeo.
La Commissione Europea, dal canto suo, ha avviato una inchiesta di salvaguardia che dovrà monitorare l’andamento dei flussi di una serie di prodotti in acciaio importati. L’indagine durerà nove mesi e potrebbe sfociare nell’imposizione di dazi o limiti quantitativi all’acquisto dei prodotti che risultassero importati in misura eccessiva al punto da esporre il mercato europeo al rischio di distorsioni. “Ad esempio – spiega Bregant – la misura potrebbe prevedere importazioni libere fino ai quantitativi importati negli anni precedenti e dazi sui quantitativi ulteriori, come del resto fatto in passato per rispondere ad una analoga iniziativa del presidente Bush”.
Tornando ai rottami, è dai rapporti commerciali con uno dei Paesi più colpiti dalle misure protezionistiche, la Turchia, che potrebbe dipendere l’andamento futuro di un mercato così prezioso per il nostro acciaio. La Turchia è infatti il principale importatore mondiale di scarti ferrosi e con le sue acquisizioni fissa il prezzo di riferimento a livello globale, il cosiddetto “benchmark”, oggi intorno ai 240 dollari a tonnellata. Nel solo 2017 si stima abbia assorbito circa 3,8 milioni di tonnellate di rottame dagli Stati Uniti. Oltre ad importare rottame, però, la Turchia esportava acciaio: circa due milioni di tonnellate, che dallo scorso 23 marzo non possono più finire negli States. E se il rischio che possano essere piazzate sul mercato europeo è ridotto, dal momento che, come sottolinea Pozzato, “i turchi preferiscono vendere sui mercati del medio ed estremo oriente”, per i rottami il discorso cambia. Come evolveranno i rapporti commerciali tra i due Paesi alla luce dei dazi?
“Gli Stati Uniti – aggiunge il presidente di Assofermet Rottami – saranno comunque costretti a portare una parte del rottame nei porti della costa est e spedirlo verso altri paesi, perché il consumo interno al momento non è capace di assorbirlo tutto. Cosa che darà la possibilità ai buyer turchi di comprare materiale fissando prezzi molto bassi. Questo lascia supporre che nel prossimo futuro il prezzo del rottame potrebbe subire delle flessioni”. Di diverso avviso Federacciai. “È ipotizzabile, ed il trend è peraltro già in atto – dice il dg Bregant – che i prodotti siderurgici sul mercato interno americano per effetto dei dazi aumentino il loro prezzo; questo avrà sicuramente effetto sulle quotazioni del rottame USA che seguiranno la medesima sorte e pertanto anche il mercato del rottame cambierà la propria fisionomia”.
Insomma, nessuno può ancora dire con certezza quale sarà l’impatto della guerra dei dazi sul mercato globale del rottame. Che siano ribassi o rialzi, però, è sicuro che il mercato accuserà il colpo. E i rischi, anche per l’Italia, non sono pochi. Un rialzo elevato si rifletterebbe sul prezzo dell’acciaio e quindi sul prezzo dei beni e prodotti finiti. Un ribasso eccessivo metterebbe in difficoltà i recuperatori di rottami, che potrebbero essere costretti a sospendere le attività di riciclo qualora queste diventassero economicamente insostenibili. Nel 2015, ad esempio, il crollo dei valori di mercato dei rottami legato alla contrazione della domanda globale di nuovo acciaio mise a rischio la tenuta della filiera del riciclo delle auto a fine vita. «Dalla frantumazione dei veicoli – denunciava all’epoca Mauro Grotto, presidente dell’Aira, Associazione industriale riciclatori auto – solo pochi mesi fa si ricavava rottame ferroso per un valore di 300-320 euro per tonnellata, oggi siamo scesi intorno a 170 euro. Le direttive europee – commentava laconico – ci impongono obiettivi di recupero, ma per molti materiali non riusciamo più a coprire nemmeno i costi di trasformazione».
Ad ogni modo, nell’immediato futuro il mercato italiano del rottame non dovrebbe andare incontro a grandi turbolenze, grazie anche al buono stato di salute delle nostre acciaierie. “Nei prossimi due o tre mesi il rischio di un calo dei prezzi connesso ai dazi non c’è – osserva Pozzato – ad eccezione dei produttori di tondino per cemento armato le acciaierie hanno infatti tutte portafogli ordini molto importanti. Ciò significa che a breve termine non si assisterà a cali di produzione tali da ridurre la domanda di materia prima e con lei quella ‘tensione’ di mercato che oggi tiene i prezzi dei rottami italiani su un livello molto alto. Diverso è pensare a ciò che potrebbe succedere dopo la fermata di agosto – conclude il presidente di Assofermet Rottami – quando si apriranno tutta una serie di scenari nuovi, dovuti alle eventuali ripercussioni della guerra commerciale sugli equilibri tra Stati Uniti e Unione Europea. Fino a maggio i dazi sono sospesi, ma è ancora presto per prevedere con assoluta certezza cosa potrebbe succedere di lì in poi”.