Stop alle discariche, sì agli impianti di recupero per chiudere il ciclo di gestione e tagliare i viaggi dei rifiuti. Così il Programma Nazionale aiuterà Roma a uscire dall’emergenza. Alfonsi: “Errori del passato dettati da scelte ideologiche”.
“Questa amministrazione ha scommesso sulla partita della chiusura del ciclo e il Programma Nazionale ci aiuterà a farlo”. L’assessore all’Ambiente del Comune di Roma Sabrina Alfonsi non ha dubbi: la riforma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che definirà le linee guida strategiche cui le Regioni dovranno attenersi nell’elaborazione dei piani di gestione aiuterà anche la Capitale a tagliare viaggi dei rifiuti e conferimenti in discarica. Due dei fronti più caldi della gestione del pattume romano, in equilibrio costante sul filo dell’emergenza. Anche per effetto delle errate scelte di pianificazione del passato, dice Alfonsi. “La prima – spiega – è stata quella di aver costruito un piano regionale sulla base di dati ideologici, assolutamente non reali, rispetto alla città di Roma. Questo non ha consentito il benché minimo passo in avanti. Anche sulla differenziata – dice – siamo fermi a sei anni fa”. Secondo Ispra, tra 2016 e 2020 è cresciuta di poco meno di due punti percentuali, passando dal 42% al 43,8%.
Mentre la differenziata avanza a passo di lumaca, la realizzazione delle infrastrutture di trattamento alternative alla discarica e ai tmb resta invece ferma al palo. “Dopo la chiusura di Malagrotta sono passati dieci anni invano – osserva l’assessore – continuiamo a produrre 4mila 400 tonnellate di rifiuti al giorno, un milione 600mila tonnellate ogni anno, senza avere la benché minima capacità impiantistica per trattarli”. Il combinato disposto tra le riforme e gli investimenti del PNRR, garantisce Alfonsi, aiuterà il Comune a imprimere il cambio di passo auspicato. “Abbiamo presentato progetti per due digestori anaerobici da 100mila tonnellate l’uno e per due impianti di selezione dei rifiuti in carta e plastica – spiega – più dieci centri comunali di raccolta“.
E se i fondi del PNRR potranno contribuire ad aumentare il tasso di raccolta differenziata e a migliorare le performance di riciclo, resta il grande tema della gestione delle frazioni residue non riciclabili, che a Roma è tuttora imperniata sui conferimenti nelle discariche regionali e, quando queste non bastano più, sulle spedizioni in altre regioni o nazioni. “Lo vediamo in questi giorni – dice – con la chiusura della discarica di Albano Laziale che ci ha fatto ripiombare di nuovo in emergenza, costringendoci a ricorrere al solito sistema degli invii in altre regioni o all’estero”. Secondo Ispra, se si sommano gli smaltimenti dentro e fuori dai confini regionali, viene fuori che nel 2020 è finito in discarica il 18% della produzione totale dei rifiuti del Lazio. Un dato decisamente lontano dal target del 10% che l’Europa chiede di raggiungere entro il 2035. “Per i rifiuti che produce, Roma dovrebbe trovare una discarica ogni due o tre anni – spiega – se anche arrivassimo al 65% di differenziata è evidente che per raggiungere questi obiettivi la Capitale deve dotarsi di altri impianti“.
Parole che sembrano aprire alla possibilità di dotare il ciclo di nuovi impianti di recupero energetico accanto all’unico attualmente operativo in regione, quello di San Vittore. Una scelta che, per quanto suffragata dai numeri (“quello che ho fatto di più in questi mesi – dice Alfonsi – è stato studiare i flussi, che è l’unica cosa che ti fa capire dove devi andare”) dovrà trovare la necessaria convergenza politica e istituzionale, per disinnescare sindromi ‘nimby’ e ‘nimto’. Il Programma Nazionale, garantisce l’assessore, aiuterà il Comune a trovare la migliore soluzione, senza preclusioni ideologiche e senza giocare allo scaricabarile istituzionale con la Regione, con la quale, assicura “c’è piena sintonia, così come c’è piena sintonia con il governo”. “Roma ha bisogno di un proprio piano dei rifiuti – aggiunge – e l’indicazione contenuta nel Programma rispetto alla necessità di assicurare una gestione di prossimità ci darà una grossa mano“.
Prosegue, nel frattempo, la consultazione sulla proposta di Programma, da approvare entro il 30 giugno come previsto dalle milestone del PNRR. Una volta approvato, lo strumento definirà i criteri che nei 18 mesi successivi dovranno guidare le Regioni nell’aggiornamento dei propri piani di gestione per allinearli agli obiettivi europei al 2035: 65% di riciclo e 10% massimo di smaltimento in discarica. “Le Regioni che oggi non siano ancora allineate – spiega Valeria Frittelloni, direttore del centro rifiuti di Ispra – saranno di fatto obbligate a pianificare il ciclo in modo da garantire il raggiungimento dell’obiettivo, fissando anche dei target intermedi di qui al 2035″. Sostanzialmente positiva la valutazione dei gestori pubblici e privati, anche se proprio sul ruolo delle Regioni resta qualche riserva. “Il monitoraggio sarà fondamentale per capire se gli indirizzi forniti porteranno risultati – spiega Filippo Brandolini, vice presidente di Utilitalia – e soprattutto per verificare che il raggiungimento degli obiettivi intermedi sia davvero possibile grazie alla pianificazione”. E se così non dovesse essere? “Non ci sono poteri cogenti – aggiunge Brandolini – né poteri sostitutivi, cosa che invece avevamo chiesto come associazione”. E la cui assenza, secondo molti, è forse il vero elemento di debolezza del Programma.
Ma gli operatori sollevano dubbi anche sulla struttura di mercato disegnata dal Programma, con una lettura dei principi di prossimità e autosufficienza che vincola il trattamento dei rifiuti organici a un perimetro strettamente regionale. “I rifiuti da avviare a riciclo – osserva Chicco Testa, presidente di Assoambiente – entrano in un regime di libero mercato e non sono più sottoposti al principio di prossimità. Noi ovviamente auspichiamo che la distribuzione degli impianti sia territorialmente equilibrata, visto che è assurdo – dice – che le bucce d’arancia di Agrigento finiscano a Padova. Questo però non significa che debbano essere necessariamente smaltite in ambito strettamente locale“. Ma la deroga ai principi del libero mercato disposta dal Programma per i rifiuti organici potrebbe essere solo temporanea. “Il Programma fornisce indicazioni per i prossimi sei anni – spiega Frittelloni – non è detto che questa sia l’indicazione definitiva. È certamente però quella che serve per realizzare gli impianti di trattamento necessari a gestire correttamente su tutto il territorio nazionale questa frazione, che è particolarmente difficile – dice – e che percorre centinaia di chilometri in giro per il Paese”. Secondo Ispra, i rifiuti organici da raccolta differenziata sono la frazione che nel 2020 ha viaggiato di più sul territorio nazionale, con 1,8 milioni di tonnellate movimentate, 60mila in più rispetto al 2019. Nella maggior parte dei casi, spiega l’istituto, i viaggi sono legati all’insufficiente capacità di trattamento nelle regioni di produzione.