Un focus di Ricicla.tv mette in luce l’inadeguatezza delle filiere italiane della raccolta, riutilizzo e riciclo dei rifiuti tessili. In vista dell’obbligo di differenziata che scatterà il prossimo primo gennaio i gestori del servizio pubblico tornano a sottolineare la necessità di una proroga, quantomeno parziale
A partire dal prossimo 1 gennaio la raccolta differenziata dei rifiuti tessili diventerà obbligatoria su tutto il territorio nazionale. Ma quanti ne raccogliamo oggi? “Il 75% dei comuni italiani – ha spiegato Valeria Frittelloni, responsabile dell’ufficio rifiuti di Ispra, nel corso di un webinar condotto dal direttore di Ricicla.tv Monica D’Ambrosio – ha già attivato la raccolta dei rifiuti tessili. Oggi ne raccogliamo circa 158mila tonnellate, l’89% delle quali rappresentate da rifiuti di abbigliamento, mentre le altre tipologie di scarti tessili vengono raccolte in misura assai minore”. Una situazione destinata a cambiare con l’entrata in vigore dell’obbligo di differenziata, che dovrebbe sottrarre al cassonetto una buona fetta dei materiali che oggi non vengono separati. “Attualmente il 3,5% dei rifiuti urbani indifferenziati è costituito da rifiuti tessili” ha aggiunto Frittelloni, che tradotto in quantità significa “oltre 667mila tonnellate di potenziale intercettabile – ha stimato Antonio Pergolizzi, coautore di un recente studio per Ref Ricerche – da indirizzare verso le catene del valore”.
Varrebbe a dire verso i canali del riutilizzo, per gli abiti usati in buone condizioni, o quelli del riciclo per gli stracci veri e propri. Il condizionale però è d’obbligo, come ripetono allarmati da tempo i gestori del servizio pubblico, preoccupati dall’estensione dell’obbligo di raccolta non solo agli abiti usati ma a tutti i rifiuti tessili. Con il rischio di pesanti ripercussioni sul mercato dovute all’aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, quindi al parallelo aumento dei costi di cernita e smaltimento. “Il settore – ha osservato Luca Mariotto di Utilitalia – teme che l’introduzione di rifiuti tessili ‘tout court’ come tendaggi o fodere di divani possa provocare una riduzione del valore dei materiali complessivamente raccolti, andando a gravare soprattutto sulle realtà che utilizzano gli abiti usati a fini di cooperazione o solidarietà“.
Ecco perché i gestori sembrano orientati a chiedere una proroga, quantomeno parziale, dell’obbligo di differenziata. “Abbiamo da tempo consigliato di limitare l’obbligo ai soli abiti usati“, ha aggiunto Mariotto, suggerendone la separazione dei flussi da quelli dei rifiuti tessili ‘tout court’ e spostando più in là nel tempo l’introduzione della differenziata per questi ultimi. Una misura che secondo i gestori servirà a evitare che l’aumento delle quantità raccolte e il parallelo abbassamento della qualità mandino in crisi le filiere a valle. A partire da quelle del riutilizzo, non solo ai fini della solidarietà, che oggi fioriscono, ma quasi esclusivamente sulla scorta di una sorta di ‘spontaneismo’ di mercato. “Su questo fronte mancano coordinamento e programmazione – ha osservato Pergolizzi – l’introduzione dell’obbligo dev’essere in primo luogo l’occasione per mettere ‘a sistema’ i settori del riutilizzo e della preparazione per il riutilizzo, integrandoli nel ciclo dei rifiuti urbani e degli speciali in un’ottica di ottimizzazione della gestione”.
E anche le filiere del riciclo degli scarti tessili, non solo quelli da raccolta urbana ma anche quelli generati dalla manifattura, pur vantando esempi d’eccellenza vecchi addirittura di qualche secolo, al momento appaiono sottodimensionate rispetto alla sfida che le attende a partire dal gennaio 2022. “Ad oggi non abbiamo una rete infrastrutturale di impianti in grado di recuperare materia dagli scarti tessili” ha denunciato Daniele Gizzi, responsabile ambiente di Confartigianato. Ma il settore, dicono gli operatori, è anche ingabbiato da un quadro normativo, amministrativo e burocratico che sembra non favorire soluzioni in linea con i principi dell’economia circolare. “Oggi per le imprese che confezionano abiti – ha raccontato Gizzi – lo scarto, il taglio, lo sfrido vengono considerati rifiuto, quando dovrebbero essere classificati come sottoprodotto. Abbiamo bisogno di strumenti normativi, come un decreto end of waste ‘ad hoc’, ma anche di supporto economico e finanziario”.
E se sul fronte dei finanziamenti all’orizzonte ci sono quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – i 150 milioni per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi ma anche una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo – sul piano della normativa “la prossima adozione della Strategia europea sul tessile – ha garantito Valeria Frittelloni – potrebbe essere l’occasione giusta per una revisione del quadro di settore. Gli operatori stessi hanno invitato il Ministero della Transizione Ecologica ad attendere le indicazioni europee che andranno a definire meglio l’ambito di applicazione della disciplina sulla cessazione della qualifica di rifiuto e, soprattutto, di quella dei sottoprodotti, forse lo strumento principale per garantire la circolarità delle filiere del tessile”. Un settore che, ha ricordato Frittelloni “è tra quelli capaci di generare le maggiori pressioni ambientali, non solo in termini di consumo di acqua e di risorse naturali, ma anche di emissioni di CO2. Serve una visione olistica che ci consenta di individuare le soluzioni più adeguate a supportarne la transizione sostenibile”.