Nel 2021 abbiamo generato 165 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, cresciuti del 12,2% rispetto all’anno più nero della pandemia. Un incremento superiore a quello del PIL, riporta il rapporto ISPRA, che nel frattempo è aumentato solo del 7%. Restiamo però bravissimi a riciclare: il 72,1% del totale è stato avviato a recupero di materia
Dopo la frenata pandemica torna a crescere la produzione di rifiuti speciali, spinta soprattutto dalla ripartenza dell’edilizia. Nel 2021 le attività industriali, manifatturiere e commerciali dello Stivale hanno generato 165 milioni di tonnellate di scarti, con un +12,2% (pari a 18 milioni di tonnellate) sul 2020, anno più duro dell’emergenza covid, e un più contenuto ma allo stesso modo sensibile incremento del 7,1% sul 2019. È la fotografia scattata dall’ISPRA nell’ultimo rapporto sui rifiuti speciali, che continuano a crescere a un ritmo superiore rispetto a quello del PIL, aumentato a sua volta del 7% tra 2020 e 2021. Escludendo i rifiuti da costruzione e demolizione, chiarisce però l’istituto, la crescita risulta più contenuta e pari al 6,7%. Un timido segnale di disaccoppiamento, al netto del settore edile, tra la capacità del sistema economico di generare valore e la produzione di scarti.
Con 78,7 milioni di tonnellate il settore delle costruzioni si conferma quello con la maggiore produzione totale di rifiuti speciali, pari al 47,7% del totale, con un incremento di 9 milioni di tonnellate da collegare soprattutto alla significativa ripresa dell’edilizia nel periodo post pandemico, grazie anche agli incentivi del governo per la riqualificazione energetica. Segue, con il 18,2%, l’insieme delle attività manifatturiere (circa 30,1 milioni di tonnellate), mentre le altre attività economiche contribuiscono complessivamente alla produzione di rifiuti speciali con una percentuale pari al 9,9% (circa 16,2 milioni di tonnellate).
Il 93,5% della produzione è rappresentato da rifiuti non pericolosi, che aumentano di 17,1 milioni di tonnellate (+12,5%) toccando quota 154,3 milioni di tonnellate, mentre quelli pericolosi crescono di circa 820 mila tonnellate (+8,3%) fino ad arrivare a 10,7 milioni. Tra i non pericolosi Il 24,2%, pari a 39,9 milioni di tonnellate, deriva dalle attività di gestione dei rifiuti e di risanamento ambientale, con un incremento, rispetto al 2020, del 6,1% (+2,3 milioni di tonnellate). “Un dato positivo perché indica che le nostre industrie fanno sempre più attenzione ai presidi ambientali, come i sistemi di abbattimento delle emissioni” spiega il direttore del dipartimento per la sostenibilità ambientale di ISPRA Valeria Frittelloni. A fronte di una produzione in crescita, il riciclo continua a costituire la principale forma di gestione con il 72,1% (128,3 milioni di tonnellate). Dei 10mila 763 impianti attivi, situati per oltre la metà al nord, 4mila 601 erano dedicati al recupero di materia, mentre le operazioni di smaltimento rappresentano il 15,7% (28 milioni di tonnellate), condotte in impianti di incenerimento per 1,1 milioni di tonnellate, e in discarica per 10,2 milioni di tonnellate, mentre 1,9 milioni di tonnellate sono state utilizzate come combustibile in impianti industriali.
La bilancia commerciale dei rifiuti speciali vede nell’Italia un importatore netto con circa 7,4 milioni di tonnellate in ingresso a fronte di un’esportazione di poco superiore a 3,9 milioni di tonnellate. A varcare i nostri confini sono soprattutto rifiuti non pericolosi (98,7%), costituiti in buona parte da rottami metallici destinati alle acciaierie e fonderie del nord Italia. Se il dato sulle importazioni ricorda quanto l’industria e la manifattura italiana trovino negli scarti la materia prima per alimentare il proprio ciclo produttivo, quello sulle esportazioni conferma invece ancora una volta le difficoltà nella chiusura del ciclo per le frazioni a minor valore aggiunto. “Esportiamo soprattutto tipologie di rifiuti per le quali facciamo fatica a trovare una collocazione anche a smaltimento nel nostro Paese”, chiarisce Frittelloni. Dei 3,9 milioni di tonnellate spedite oltre confine, il 64% è rappresentato infatti da rifiuti da trattamento dei rifiuti e delle acque reflue. Destinazione principale la Germania, con 831mila tonnellate (di cui 582mila tonnellate pericolosi), rappresentate soprattutto da rifiuti da trattamento dei rifiuti (270mila tonnellate).
Se il tasso di recupero di materia conferma l’Italia ai vertici in Europa per riciclo, il focus sulle filiere ‘sensibiliì’, attenzionate dall’Ue, dipinge invece un quadro in chiaroscuro. Bene i rifiuti da costuzione e demolizione, che con un tasso di riciclo dell’80,1% superano il target del 70% al 2020, male invece la filiera dei veicoli fuori uso, che con l’84,3% ancora una volta centra il target di reimpiego e riciclo dell’85% ma resta lontana dal 95% di recupero complessivo, complice lo scarso ricorso alla termovalorizzazione delle frazioni a minor valore aggiunto. “Rileviamo lo stesso dato ormai da diversi anni – spiega Fritelloni – il recupero energetico di fatto non c’è e questo penalizza fortemente il raggiungimento dell’obiettivo”. Calano anche i rifiuti contenenti amianto generati dalle attività di bonifica, 339mila tonnellate in contrazione del 12,2%, segno dell’assenza di “un’attività sistematica di decontaminazione delle infrastrutture presenti sul territorio”, scrive ISPRA. In diminuzione anche i fanghi da depurazione, 3,2 milioni di tonnellate (in calo del 4,2% sul 2020), che per oltre la metà (il 52,3%) vengono ancora avviati a smaltimento in discarica, mentre solo il 45,6% è gestito in impianti di recupero per la produzione di energia e fertilizzanti. “Non abbiamo trovato una modalità adeguata di valorizzazione per questo flusso – sottolinea Frittelloni – che per certi versi continua a rappresentare un problema”.