Dopo lo stop agli ‘impianti minimi’ di ARERA politica e imprese si interrogano sul destino del mercato del trattamento dei rifiuti organici. Fregolent: “C’è vulnus a prescindere dalle sentenze”. Utilitalia: “Rispettare principio di autosufficienza”. Assoambiente: “Regolazione solo se c’è carenza evidente”
Libera circolazione o autosufficienza? Mentre si attende il pronunciamento del Consiglio di Stato sulla raffica di sentenze del TAR – quattro in Lombardia e una in Emilia-Romagna – che ha annullato il sistema degli ‘impianti minimi’ disegnato da ARERA, politica e imprese si interrogano sul destino del mercato del trattamento dei rifiuti organici da raccolta differenziata. A sollecitare la riflessione una proposta di risoluzione a prima firma della senatrice Silvia Fregolent, che chiede di valutare la necessità di una revisione del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti alla luce del quadro di incertezza determinato dai pronunciamenti dei tribunali amministrativi. Pronunciamenti che, vale la pena ricordarlo, hanno bocciato il sistema messo a punto dall’autorità di regolazione chiarendo che spetta allo Stato, quindi al Ministero dell’Ambiente, e non alle Regioni o alla stessa autorità, il compito di individuare ‘impianti minimi’ da sottrarre al regime di libero mercato per assoggettarli a un sistema di flussi prestabiliti e tariffe regolate. “ARERA tende ad aspettare il pronunciamento con la speranza di ribaltare le sentenze in Consiglio di Stato – ha osservato Fregolent nel corso di un’audizione in Senato – ma a prescindere dalle sentenze c’è un ‘vulnus’ se si è arrivati a questo punto”.
E il ‘vulnus’, come lo definisce Fregolent, deriverebbe dalla mancata indicazione puntuale, nel Programma Nazionale adottato dal Ministero dell’Ambiente, dei fabbisogni territoriali di trattamento da soddisfare nelle aree del Paese non servite da un numero sufficiente di impianti. Indicazione indispensabile, secondo Utilitalia, per pianificare correttamente il ciclo a livello regionale. “Si condivide la necessità espressa dalla risoluzione che il Programma Nazionale espliciti i fabbisogni di trattamento da colmare a livello territoriale – ha dichiarato Luca Mariotto di Utilitalia – come associazione abbiamo già fatto rilevare come nell’attuale testo del programma manchino scenari di produzione e gestione dei rifiuti, ma soprattutto una valutazione del fabbisogno effettivo di trattamento regione per regione”. Anche se i rifiuti organici possono viaggiare sul libero mercato, chiarisce quindi la federazione delle utility, occorre fare in modo che il trattamento risponda al principio di prossimità per limitare l’impatto ambientale dei trasporti. “L’obbligatorietà del ricorso al mercato non può frenare il raggiungimento dell’autosufficienza a livello regionale. A favore di questo ci sono ragioni ambientali, legate alla minor distanza da percorrere per avviare a trattamento i rifiuti, ma anche politiche, per fare in modo che gli amministratori locali si rendano pienamente responsabili della gestione dei propri rifiuti”.
Se per Utilitalia i principi di prossimità e autosufficienza devono prevalere su quello della libera circolazione sul territorio nazionale, per Assoambiente invece il rapporto deve essere ribaltato. Secondo l’associazione delle imprese dei servizi ambientali qualunque intervento regolatorio dev’essere infatti residuale e limitato ai soli casi di conclamato fallimento del mercato. “Non vi è dubbio alcuno che la frazione umida dei rifiuti urbani appartenga al novero di quelle il cui trattamento debba essere affidato al libero mercato – ha chiarito il presidente di Assoambiente Chicco Testa – una attività programmatoria, ivi compreso l’utilizzo degli ‘impianti minimi’, può essere messa in atto solo laddove si dimostri in maniera chiara, evidente e indiscutibile che vi è una carenza di interventi del mercato per risolvere il problema”. Anche perché, ribadisce Assoambiente, se in alcune regioni l’offerta territoriale di trattamento è ancora inadeguata la responsabilità è da ricercare soprattutto nel mancato rilascio delle autorizzazioni e nelle incertezze della normativa che frenano gli investimenti. “C’è una larghissima disponibilità finanziaria per realizzare gli impianti – ha sottolineato Testa – ciò che i privati chiedono è la definizione di contratti di medio-lungo termine che diano stabilità al business, ma soprattutto autorizzazioni. Se venissero date, e si lasciasse che il mercato libero di trovare le giuste composizioni di prezzo e convenienza, potremmo risolvere buona parte dei nostri problemi”.
Ferme restando le diverse letture del rapporto tra prossimità, autosufficienza e libero mercato, ciò su cui le posizioni delle imprese pubbliche e private sembrano convergere è la necessità di un intervento del Ministero che indichi in maniera chiara e puntuale i fabbisogni residui da colmare a livello territoriale. Una valutazione da fare con prudenza, avverte però il Consorzio Italiano Compostatori, visto che i numeri al momento sembrano indicare come il mercato sia sempre più vicino a garantire l’equilibro tra domanda e offerta sull’intero territorio nazionale. “L’analisi dell’impiantistica in essere, su dati 2023, ci dice che a livello di macroaree non ci sono sbilanciamenti tra la capacità di trattamento e le quantità di rifiuti da trattare – ha sottolineato il direttore generale del CIC Massimo Centemero – occorre costituire un tavolo di lavoro per seguire l’evoluzione del settore”. Più che al Consiglio di Stato, che si pronuncerà nel merito della vicenda ‘impianti minimi’ solo a dicembre, gli sguardi degli operatori sembrano dunque rivolti al Ministero dell’Ambiente. Compreso quello di ARERA, che negli orientamenti per l’aggiornamento del metodo tariffario rifiuti, pubblicati lo scorso 20 giugno, “conferma la volontà di non acquiescenza alle richiamate sentenze del TAR” ribadendo che “non è intenzione dell’Autorità intervenire sulle competenze pianificatorie di altri soggetti competenti nella definizione e nell’individuazione di impianti ‘minimi’” individuati “sulla base del Programma nazionale di gestione dei rifiuti” con “ le connesse esigenze che sollevano rispetto a possibili esercizi di potere di mercato”. Esigenze rispetto alle quali l’autorità, si legge, “intende esercitare le proprie competenze tariffarie, orientate al perseguimento delle generali finalità procompetitive, di efficienza dei servizi e di tutela della clientela finale”.