L’associazione nazionale dei produttori di aggregati riciclati chiede l’immediato avvio del monitoraggio sugli effetti del decreto end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione. “A rischio 32 milioni di tonnellate di scarti” dice Anpar
Un “de profundis” per il settore della gestione dei rifiuti inerti. Questi gli effetti dell’entrata in vigore del nuovo decreto ‘end of waste’ sui rifiuti da costruzione e demolizione secondo Anpar, l’associazione nazionale dei produttori di aggregati riciclati, che torna a lanciare l’allarme sul testo che, in vigore dal prossimo, 4 novembre definirà i nuovi criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per gli scarti dell’edilizia e delle infrastrutture. Una normativa “che condannerà a finire in discarica circa 32 milioni di tonnellate di scarti, bloccando la virtuosa filiera del riciclo” denuncia Anpar, chiedendo al Ministero della Transizione Ecologica – o meglio al neonato Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – l’avvio di un tavolo di lavoro con gli operatori della filiera per concertare avvio e modalità di verifica dei criteri di monitoraggio. Il decreto contiene infatti una autentica clausola di revisione, in virtù della quale al termine di un periodo di 180 giorni dall’entrata in vigore del regolamento, il Ministero potrà valutare eventuali correttivi alla norma.
“L’apertura introdotta dal Ministero della Transizione Ecologica con una transizione di sei mesi per la verifica dei criteri end of waste – spiega Anpar – di fatto si sovrappone con il transitorio per il necessario adeguamento dei provvedimenti autorizzativi in essere, generando un intoppo normativo; se non si interverrà con un rapido chiarimento in materia, si impedirà agli impianti di proseguire la propria attività e di proseguire non solo con il recupero di questi rifiuti, ma anche con l’attività di conferimento di rifiuti inerti, qualora non conformi ai nuovi disposti normativi”. Secondo l’associazione, il punto critico della norma sta nei nuovi parametri di analisi e controllo della qualità degli aggregati riciclati”che si traducono in una restrizione nazionale, non effettivamente giustificata da motivi di interesse pubblico legati alla tutela dell’ambiente o della salute”. L’errore, a detta degli operatori, sta nel fatto che l regolamento non opera alcuna distinzione in base agli usi a cui gli aggregati sono destinati, in contrasto con le norme di prodotto UNI che ne regolano gli impieghi.
Un’impostazione che, dice Anpar, impedirà il recupero dell’80% dei materiali gestiti ogni anno dagli impianti di riciclo, con impatti economici, ambientali e sociali sull’intera filiera delle costruzioni. Tanto più all’alba dell’appuntamento con i cantieri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Pur condividendo l’attenzione per i parametri con potenziale incidenza sulla salute umana e sull’ambiente, Anpar “ritiene necessaria una rapida valutazione degli effetti concreti di tali limiti prudenziali sull’efficacia del meccanismo di economia circolare attivato dalla regolamentazione, affinché siano scongiurati effetti di forte riduzione dei quantitativi di questi rifiuti effettivamente avviati al recupero”.